RELAZIONE DELLA SEGRETARIA GENERALE: DEBORA ROVERSI
Care Compagne e cari Compagni, Gentili ospiti, Istituzioni presenti, a tutti e a tutte voi il benvenuto all’ Ottavo congresso della Camera del Lavoro Territoriale della provincia di Pavia.
Molti di voi già sapranno che il congresso della Cgil è, per la nostra organizzazione, il momento più alto di partecipazione democratica alla vita della Confederazione, quel momento in cui si delinea il bilancio politico delle attività, ma soprattutto si costruisce l’indirizzo strategico del nostro sindacato. Si fa ad ogni livello e noi, qui, oggi, condivideremo azioni e proposte, daremo concretezza progettuale a quel percorso che, partito poche settimane fa, ci ha visto consultare circa 8.400 iscritti, in circa 335 assemblee di lavoratori e pensionati nei luoghi di lavoro e nelle sedi pubbliche.
Ma non solo. Le nostre elaborazioni sono anche la conseguenza del vivere il territorio: dello starci profondamente dentro, del rapporto quotidiano con i cittadini e le cittadine, con le loro problematiche, i loro bisogni, le loro fragilità.
Ed ancora, sono il frutto del rapporto con il territorio, con le sue istituzioni locali, con gli Enti, con l’Università, con le Associazioni, con i movimenti, con i partiti politici, con le forze dell’Ordine, con le altre Organizzazioni sindacali dei lavoratori e con quelle degli studenti, con le rappresentanze dei vari settori produttivi, con il terzo settore e con i media locali.
Molti dei rappresentanti delle organizzazioni che ho citato sono oggi qui con noi e per questo li ringrazio.
Un punto di vista “di parte”
Il nostro è per natura un mestiere di dialogo, di confronto e di conflitto, di presenza formale e informale, di partecipazione e di rappresentanza.
Ed è proprio quell’essere “di rappresentanza”, che è rappresentanza degli interessi di una parte, che ci definisce e ci contestualizza fra i soggetti del dibattito generale, che determina la nostra azione, che favorisce la nostra autonomia e che orienta le nostre scelte. Siamo di parte, insomma, per definizione.
L’intervista al Prof Barca, che ben definisce l’impianto analitico nel quale proviamo a sviluppare i nostri ragionamenti, ci invita e ci aiuta a meglio comprendere come intendiamo il nostro ruolo di parte a partire dall’impegno nel riconoscere le disposizioni contenute nell’art. 3 della Costituzione Italiana.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Abbiamo chiesto al professor Barca di esplicitare i termini giustizia sociale e diseguaglianza perché è da questi termini che riteniamo utile avviare i nostri ragionamenti e le nostre proposte.
Questo il punto focale di qualsiasi analisi ed azione per un’organizzazione che ha messo la parola futuro al centro del proprio dibattito congressuale: non può esistere una visione di futuro senza intervenire sulle disfunzioni e sui mali che colpiscono la nostra società, a partire dall’affermazione che, anche nel nostro Paese, le diseguaglianze sono in aumento.
Il contesto economico e sociale
Non snoccioleremo qui, nel dettaglio, i dati relativi all’aumento delle disuguaglianze e delle varie forme di povertà, assoluta e relativa; sono facilmente reperibili, anche on line.
Noi abbiamo attinto dall’ultimo rapporto Oxfam che evidenzia come la ricchezza si concentri in poche mani, ancora di più rispetto al periodo pre-covid, non solo nel mondo ma anche in Italia dove il 5% più ricco degli italiani deteneva a fine 2020 una ricchezza superiore a quella dell’80% più povero e da marzo 2020 a novembre 2021 i patrimoni dei super-ricchi sono cresciuti del 56%.
Oggi nel nostro Paese 40 miliardari posseggono l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri e le famiglie in povertà assoluta sono passate da 1,6 milioni nel 2019 a 2 milioni nel 2020 (con una variazione dell’incidenza annua dal 6,4% al 7,7%).
A livello individuale oltre 1 milione di nuovi poveri (per un totale di 5,6 milioni) sono rilevati dall’ISTAT nel 2020 (con l’incidenza della povertà assoluta individuale che ha toccato quota 9,4%, in aumento di 1,7 p.p. dal 2019).
Certo, risiedere in Lombardia offre, per certi versi, il vantaggio di un contesto più dinamico rispetto a quello del sud dell’Italia, ma come si sa esiste sempre “un sud” di qualcosa e noi possiamo dire, con qualche dato alla mano, di abitare effettivamente il sud della nostra regione.
Lo dice il dato sull’occupazione nella nostra provincia, il secondo peggiore in Lombardia e soprattutto il peggiore per quanto riguarda l’occupazione femminile e le retribuzioni, dato sintomatico di una precarizzazione e di una involuzione del mercato del lavoro.
Lo dice il dato sull’utilizzo del reddito di cittadinanza, in questo caso il più alto di tutta la regione.
Lo dice il progressivo spopolamento e l’invecchiamento della provincia che vede una riduzione dei nuovi nati e un esodo dei giovani, sia italiani d’origine sia figli di immigrati.
Lo conferma il dato dei neet, giovani che non studiano e non lavorano, di cui la provincia pavese vanta il primato regionale.
Ed ancora lo conferma la classifica stilata dal sole 24 ore sulla qualità della vita che, ancora, ci pone all’ultimo posto in Lombardia o il dato sulla povertà educativa che, anche qui, ci vede fanalino di coda per molti indicatori nella regione.
Lo sappiamo, non aiuta l’attrattività del territorio enfatizzare questi dati, sappiamo bene che oggi è necessario valorizzare i punti di forza e non le debolezze, ma non possiamo non partire da una visione critica e obiettiva del contesto se davvero vogliamo perseguire l’idea di un cambio di passo, della costruzione di un “futuro migliore”. Non capiremmo rispetto a cosa è necessario cambiare, non capiremmo dove vogliamo arrivare.
C’è bisogno di una cura
Crediamo profondamente nella capacità e nella possibilità di un futuro migliore per i nostri territori ed è per questo motivo che, appena si sono resi evidenti gli effetti della prima ondata pandemica, ci siamo messi a lavorare su una nostra proposta territoriale.
Una delle conseguenze secondarie che questa epidemia globale ha messo in luce è stata, infatti, un’accelerazione di grandi processi di cambiamento già in atto, processi che investono vari aspetti: dai cambiamenti nelle abitudini al consumo alla percezione della centralità dei temi della salute, della sicurezza e dei bisogni individuali declinati nelle differenti forme: sanità, ambiente e sostenibilità ambientale, territorio, luoghi ed anche luoghi di lavoro.
Come ci ha ben indicato il Prof. Garofoli, che voglio ringraziare pubblicamente per l’aiuto e la spinta iniziale nell’elaborazione dei nostri progetti:
“questi processi richiederanno, innanzi tutto, una visione più orientata al benessere collettivo: Il cambiamento coinvolgerà (con un ampio impegno emotivo e strategico) una serie rilevante di attori pubblici e privati e trascinerà ampi processi di innovazione e formazione di nuove competenze professionali; determinerà quindi nuovi incroci di saperi e di competenze, integrando le competenze tecnico scientifiche con quelle umanistiche e sociali. Avremo una profonda ristrutturazione del sistema economico nazionale ed europeo che avrà per obiettivo prioritario la capacità di soddisfare i bisogni essenziali dei cittadini europei.”
Da questo assunto è nata la nostra proposta, mettendo al centro e ponendo come obiettivo il tema della “cura”, declinata sia come necessità di curare e di mirare al benessere in senso assoluto, sia come azione del prendersi cura: degli individui, della collettività e delle cose.
La riflessione che muove le nostre proposte ed ha mosso la nostra azione negli ultimi anni, quindi, parte dall’analisi dei bisogni tradizionali ed emergenti e prova a intrecciarli con le caratteristiche, le specificità, le potenzialità ma anche con le condizioni demografiche e sociali e, perché no, con le carenze del nostro territorio.
Abbiamo quindi deciso di elaborare un documento, frutto dell’analisi interna svolta insieme a tutte le nostre Categorie e all’Assemblea Generale della Cgil di Pavia accompagnati, come dicevo, dal prof. Garofoli e con il contributo di diversi docenti universitari afferenti alla Fondazione Romagnosi che ci sta aiutando a darne una veste scientifica. Documento che abbiamo ritenuto utile completare inserendo gli spunti arrivati dal nostro percorso congressuale.
Tra le priorità che, oggi, per motivi di tempo di questa mia relazione, potrò solo brevemente citare rileviamo:
la revisione del modello socio sanitario pavese; la cura dell’ambiente in un modello di sviluppo sostenibile che valorizzi l’industria in un modello di economia circolare e caratterizzante il territorio; un turismo che sappia valorizzare le eccellenze enogastronomiche e culturali della provincia e la sua attitudine agricola; un sistema viabilistico e di trasporto funzionale alle necessità e alle esigenze di riduzione delle emissioni inquinanti; una revisione degli spazi delle città e il recupero delle aree periferiche e/o dismesse con politiche abitative in grado di dare risposte al bisogno sociale; un sistema del credito capace di mettere in moto le molte risorse “dormienti” e un sistema formativo adeguato alla formazione, non solo specialistica ed al passo con le competenze richieste dai processi di innovazione ma anche umanistica e di preparazione alla cittadinanza attiva e consapevole.
Abbiamo elaborato, quindi, un insieme di proposte apparentemente teoriche ma, come abbiamo detto, il nostro mestiere che ha bisogno di teoria e di elaborazione, ha bisogno anche e soprattutto di prassi e di pratica quotidiana.
Per questo motivo, già a partire dal 2020, parallelamente al percorso di definizione di un modello d’azione, abbiamo portato nelle sedi istituzionali -e non- le nostre proposte.
Se il presupposto assunto a base di partenza è quello dell’individuazione dei bisogni emersi o emergenti, non potevamo che cominciare dal bisogno primario per eccellenza, il bisogno di salute che qui decliniamo nella sua più alta definizione:
stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia.
Una condizione che ha a che fare, quindi, con il come si sta, con il dove si vive, che lavoro si svolge, come e se si studia, come si socializza e si interagisce socialmente.
Sul “come si sta”, quindi sul tema della riorganizzazione del modello socio sanitario pavese abbiamo elaborato insieme a Cisl e Uil, unitariamente e con le categorie dei pensionati e del pubblico impiego una proposta di revisione che preveda un forte investimento nella sanità territoriale, fortemente indebolita negli anni e che ha penalizzato, disinvestendo, le attività di prevenzione, di attenzione alla cronicità e all’integrazione tra attività sanitaria e assistenza sociale.
Inoltre, oltre all’ormai non più rinviabile necessità di completare il percorso affinché il nostro paese si doti di una legge sulla non autosufficienza con gli adeguati stanziamenti economici, riteniamo sia utile ridefinire un nuovo modello di offerta che vada da un lato nella direzione di potenziare l’assistenza domiciliare alle persone anziane/fragili e dall’altro individuare un nuovo modello organizzativo di residenzialità aperta al territorio e di offerta delle strutture socio sanitarie ed assistenziali anche in ragione di quanto accaduto durante l’emergenza sanitaria Covid
Un nuovo modello di cura delle persone e del territorio che favorisca la storica sinergia tra assistenza, ricerca e formazione.
Il rilancio economico di Pavia e del suo territorio può e deve fare leva su ricerca e innovazione, alla luce dell’elevato numero di soggetti estremamente qualificati che vi operano: dall’Università ai tre IRCCS, dal CNR allo IUSS, dal CNAO alla Fondazione Eucentre.
Più di 3.800 sono i ricercatori e docenti, e circa 14.000 gli studenti di area medico-scientifico-tecnologica, concentrati in poco più di 1 km2, nel cosiddetto “Distretto delle Scienze”.
In questa prospettiva, è importante che agli attori della ricerca si aggiunga un robusto contributo di imprese ad alto contenuto innovativo, di start-up innovative, creando così un autentico eco-sistema della ricerca e della sua applicazione che contribuisca alla ridefinizione ed alla caratterizzazione del tessuto industriale pavese carente, come spesso ci ricorda la Fiom, degli investimenti necessari alla sua ripresa.
Per questo motivo abbiamo accolto con favore il progetto della realizzazione del parco tecnologico Gerolamo Cardano, promosso dall’Università degli Studi Di Pavia.
Riteniamo che sia necessaria la creazione di un nuovo paradigma economico, anche attraverso la partecipazione del pubblico e che si debba definire un modello di sviluppo che punti alla qualità delle produzioni, alla riqualificazione delle aree dismesse e degli immobili pubblici abbandonati puntando al risparmio energetico, all’uso di materiali ecologici, al ponderato uso dell’acqua.
Serve sinergia tra agricoltura, bioedilizia e architettura per creare prospettive dal punto di vista sociale e della sostenibilità ambientale che favoriscano l’agricoltura e l’industria virtuosa considerando i campi non solo come luogo di produzione di beni da consumo alimentare, ma anche come luogo di produzione di materie prime destinate ad altri utilizzi in un reale modello di economia circolare.
Ovviamente, se parliamo di ecologia ed ambiente, non possiamo che auspicare una trasformazione dei metodi agricoli: più moderni, meno intensivi, con minor utilizzo di prodotti chimici nocivi, orientati al biologico, attraverso una filiera corta.
L’agricoltura 4.0 offre ampie possibilità in questa direzione: rivitalizzare la nostra agricoltura con la creazione di figure qualificate, provando a conciliare tradizione e innovazione.
Il connubio fra ricerca ed innovazione declinato in termini di economia circolare implicherebbe la trasformazione del tessuto produttivo attraverso l’innovazione delle aziende, del modo di lavorare e la formazione di nuove figure professionali.
Nell’ambito del settore calzaturiero, fino a qualche decennio fa motore propulsivo dell’industria vigevanese e lomellina che, come sappiamo, si trova oggi in forte sofferenza, riteniamo che il territorio possa trarre innumerevoli vantaggi da un cambio di paradigma rivolto alla sostenibilità ambientale in quanto, oltre a ridurre i costi e attirare lavoratori qualificati, l’attenzione all’ambiente renderebbe riconoscibile il prodotto, fattore sempre più importante per i clienti.
La prossimità della città di Vigevano, dove non mancano competenze e tradizione da riorganizzare in chiave innovativa, con l’area metropolitana milanese potrebbe produrre interessanti sinergie, a partire proprio dal settore moda.
Se la salute passa anche attraverso gli alimenti che consumiamo e i processi di produzione, trasformazione e conservazione degli stessi, come la pandemia covid ma anche altre forme di malattia virale altamente contagiose ci hanno insegnato, l’attenzione a questi processi dovrebbe essere d’interesse prioritario anche per le grandi centrali di committenza pubbliche che fanno uso di ristorazione collettiva (mense ospedaliere, scolastiche, universitarie, ecc.), generando una domanda locale che potrebbe dare impulso e vitalità ad una produzione qualitativamente migliore e maggiormente sostenibile.
Anche il tema della sicurezza alimentare, della prevenzione e il collegamento fra cibo e salute, potrebbero dare impulso ad una rinnovata collaborazione fra ricerca e mondo della produzione ed anche in questo caso il ruolo dell’Università e degli IRCSS presenti sul territorio sarebbero determinanti.
Il territorio dovrà, inoltre, farsi carico della prevenzione dall’abbandono anche per insediamenti specifici come nel caso delle grandi strutture di logistica che per loro natura hanno un ciclo vitale temporalmente determinato; in virtù delle grandi trasformazioni che vanno dalle modifiche nelle abitudini di consumo (grandi superfici commerciali) ai necessari e urgenti interventi in materia di energia (raffineria), molte strutture oggi esistenti dovranno essere ripensate con funzioni diverse in un arco temporale relativamente limitato.
Come la storia insegna, queste trasformazioni lasciano non solo un’impronta fisica sul territorio (aree dismesse e/o abbandonate) ma anche sociale: si pensi all’impatto su occupazione, demografia, risorse economiche.
Risulta quindi urgente aprire una riflessione ed un ambito di confronto strutturato che coinvolga istituzioni, enti locali, organizzazioni sindacali, stakeholders territoriali e comunità locale per valutare e decidere le azioni adeguate in occasione sia di nuovi insediamenti, sia di eventuali futuri progetti di trasformazione/riconversione.
Risulta altresì evidente come sia necessario una programmazione e un governo multi-livello perché molti piccoli comuni non sono in grado di far fronte alle richieste dei ‘colossi’ della logistica e del commercio e non sempre sono in grado di gestire la fase di “contrattazione” delle compensazioni che si dovrebbero porre come obbiettivo quello di far rientrare tali insediamenti entro una visione più complessiva di sviluppo.
Nel mondo che ci aspetta nei prossimi anni il divario digitale sarà da considerarsi una limitazione al diritto di cittadinanza; per questo, uno degli obiettivi del programma Next Generation UE è la sua eliminazione. Il diritto alla “connessione” deve essere garantito in ogni area della provincia, a partire proprio da quelle più svantaggiate, isolate e dalle aree interne.
Ovviamente, questo deve essere accompagnato dal buon funzionamento delle infrastrutture reali e, per il rispetto ambientale, occorrerebbe favorire il trasporto di merci su rotaia prevedendo l’efficientamento e l’ammodernamento del sistema della rete ferroviaria.
Molte persone si spostano, per lavoro e per studio, quindi la rete ferroviaria ed i mezzi di trasporto pubblico dovranno essere tali da garantire lo spostamento del numero di persone che ogni giorno deve raggiungere il luogo di lavoro o di studio.
Conosciamo le disfunzioni del sistema di trasporto pubblico provinciale e per questo abbiamo sostenuto e continuiamo a promuovere l’iniziativa proposta da Cgil, Filt e Federconsumatori della Lombardia relativa ad un questionario circa il grado di soddisfazione sul sistema dei collegamenti di Trenord. Ed abbiamo qualche sospetto circa il suo esito.
Avere cura del territorio significa anche riorganizzare gli spazi urbani, ripensarli con attenzione, rispettandone la storia ma con lo sguardo rivolto al futuro ed ai nuovi bisogni.
Abbiamo parlato fin qui di connessione, di recuperare quel gap, quella distanza tra centro e periferie (molteplici nella nostra provincia) che si traduce, di fatto, in aumento delle disuguaglianze e minori opportunità per chi è costretto a vivere in ambiti maggiormente isolati.
Proprio in questi contesti riteniamo vadano fatti gli sforzi e gli investimenti maggiori, dal recupero attento e di qualità dell’edilizia pubblica all’aumento dell’offerta di alloggi a canone agevolato che permettano alle e ai giovani di costruire il proprio futuro ad un costo accessibile.
Se lo smart working è entrato definitivamente nei processi lavorativi, riteniamo che ogni comune del territorio debba attrezzarsi per offrire spazi pubblici di coworking dotati di strumenti, connettività, servizi e spazi idonei per offrire non solo supporto alle attività lavorative ma anche luoghi di socializzazione e di svago; servizi che consentano la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, creando nuove opportunità di occupazione.
Gli spazi pubblici di coworking potrebbero così diventare, per ogni piccolo centro, il punto di partenza per rivitalizzare un paese, dotandolo di infrastrutture sociali e servizi.
Opportuno sarà anche prevedere la presenza di impianti sportivi, spazi ricreativi e culturali adatti ad ogni fascia d’età, sedi importanti per lo sviluppo della socialità.
Quella che abbiamo in mente è una “città di prossimità”, dove i servizi a sostegno dei bisogni dei cittadini (dalla cura alla conoscenza, dal benessere alla spesa) siano disponibili per così dire “a Km zero” o comunque entro spazi fisici o virtuali prossimi e sostenibili.
Intervenire sulle periferie, che qui intendiamo in senso ampio, quali luoghi al limite dell’abbandono e dell’isolamento, comporta occuparsi delle aree degradate e dismesse: oltre alle eventuali bonifiche che si rendessero necessarie, i recuperi vanno immaginati e contestualizzati in un percorso di ottimizzazione in termini di utilità per quel determinato contesto sociale. Non significa escludere l’intervento di soggetti privati, soprattutto considerati gli alti costi da sostenersi, ma semmai un intervento di indirizzo ragionato da parte dell’amministrazione pubblica locale che risponda al “disegno-progetto” di uno sviluppo immaginato e dotato di senso.
Allo stesso modo e con lo stesso metodo bisognerebbe agire sui beni confiscati alle mafie; restituendo legalità e dignità a quei luoghi e a quegli immobili presenti anche nella nostra provincia si lancerebbe un segnale forte alla malavita organizzata che, benché qualcuno lo neghi, risiede attivamente anche nel nostro territorio.
Per quanto attiene la povertà educativa si evidenzia la criticità del nostro territorio rispetto a tre dei maggiori parametri di valutazione: scarsa digitalizzazione, fatiscenza e vetustà degli edifici scolastici, difficoltà di collegamento attraverso il tpl.
Erano già fattori di rischio prima del covid, lo sono diventati ancora di più durante la pandemia per le note necessità emerse durante il periodo.
Dei limiti di connessione abbiamo già parlato; rispetto agli edifici scolastici a Pavia oltre il 30% degli stessi è vecchio e soffre di carenze strutturali evidenti, a volte al limite degli standard di garanzia di sicurezza.
L’investimento sui bisogni dei più giovani non può essere rimandato; è un segnale quello già citato, relativo al fenomeno dei neet e non va assolutamente sottovalutato.
Ma il grido di allarme più forte arriva direttamente dagli studenti: dalla ricerca “chiedimi come sto” elaborata da Ires Cgil su proposta di Spi nazionale Udu e Rete studenti medi, infatti, emergono dati preoccupanti sugli effetti della pandemia fra gli studenti: Il 28% ha dichiarato di avere disturbi alimentari, il 16% dei quali innescati dalla pandemia, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo, la metà in coincidenza del periodo pandemico. Il 10% ha assunto sostanze e il 12% ha abusato di alcol.
A crescere nel corso dell’emergenza sanitaria sono state soprattutto le emozioni negative tra cui la noia (68%), la demotivazione (66%), la solitudine (62,7%), l’ansia (60%), la paura e la rabbia (46%).
Sono dati che parlano da soli, confermati anche da ricerche successive di altri istituti.
Abbiamo il dovere morale di ascoltare questi segnali; perché forse quella rabbia di cui ci parlava il prof Barca sta seminando anche semi che nelle epoche passate non abbiamo mai visto, i semi della società liquida, come direbbe qualcuno più esperto di me, i cui frutti dipenderanno molto dalla capacità di intervenire sul processo del loro sviluppo.
Senza ostacolare o limitare, ma anzi, sostenendole, dobbiamo provare a interpretarle quelle voci e, dove possibile, aiutare i nostri ragazzi ad avere qualche strumento di lettura in più.
Dal canto nostro ci proviamo: abbiamo sperimentato nel 2022, insieme a Flc e con il contributo di tutte le categorie della Cgil, un progetto nelle scuole superiori della città di Pavia per parlare ai ragazzi di lavoro e di diritti.
Mi permetterà il compagno, che è qui presente, di definirlo il “progetto Caffetti” perché Cesare, un insegnante con la passione per la formazione che a cuore il futuro degli studenti e non solo i voti che prenderanno, ha ideato e dato gambe a questo lavoro.
Stesso impianto, sperimentato in un istituto di Vigevano, sempre nel 2022, ha avuto il medesimo consenso e, pertanto, replicheremo l’esperienza nel 2023, estendendola all’intero territorio provinciale.
Ed insieme alla conoscenza dei diritti, proviamo a portare anche i valori e principi.
Insieme a Udu abbiamo sperimentato delle assemblee on line per i collaboratori sportivi e per i rider, attività diffuse fra gli studenti universitari e caratterizzate da altissimi livelli di precarietà e di lavoro grigio o sommerso. Piccoli passi e basi per stabilire una connessione con il mondo del lavoro giovanile che svilupperemo ancora di più nei prossimi anni. Lo abbiamo fatto, con alcuni importanti successi, con la segreteria Udu guidata da Simone Agutoli, lo faremo, si è già tenuto un primo incontro, con Alessandro Miceli e la sua rinnovata segreteria.
Gli studenti universitari hanno elaborato, e merita di essere citato, un importante studio e delle proposte in merito alla residenzialità universitaria. Il problema casa esiste ed è un tema che riguarda sicuramente i giovani, ma non solo, ed ha a che fare con il citato aumento delle disuguaglianze e della povertà.
La pandemia, infatti, non ha diminuito la domanda di alloggi da assegnare alle fasce di popolazione in condizione di debolezza sociale, anzi.
La risposta andrebbe costruita in modo duplice: da una parte verso i cittadini meno abbienti, ai quali va assicurato il diritto alla casa in un contesto di tutela sociale, dall’altra verso quelli a reddito medio-basso, sempre più in aumento, che non hanno le possibilità economiche per rivolgersi al mercato immobiliare ma restano esclusi dalle forme abitative a tutela sociale.
Secondo il SUNIA, considerando un piano di edilizia abitativa e un programma di edilizia residenziale pubblica proiettati in un arco di tempo medio-lungo, è fondamentale dare continuità al gettito economico nella misura minima del 1% del bilancio regionale al quale si potranno aggiungere i finanziamenti che si renderanno disponibili (statali, strutturali, Cassa Depositi Prestiti, ecc).
La competenza regionale e statale della materia ci ha fatto uscire un po’ dai confini territoriali, ma sappiamo quanto questo aspetto incida nelle dinamiche locali e nella discussione con i comuni ed è la dimostrazione di come i diversi livelli debbano essere messi in comunicazione in una dinamica dialettica fra lettura dei bisogni, esercizio dei diritti e pratica politica.
Queste sono, almeno in parte, le proposte elaborate che abbiamo portato o porteremo ai tavoli istituzionali locali, nell’ambito della contrattazione sociale territoriale con i comuni o con i piani di zona e negli spazi di discussione più generali quali la cabina di regia per la gestione dei fondi del PNRR istituita dalla Provincia di Pavia ed al Tavolo istituito presso L’Ufficio Territoriale Regionale.
Rispetto a quest’ultimo, abbiamo a dicembre 2022 sottoscritto l’accordo propedeutico alla definizione di un Accordo Quadro sullo Sviluppo Territoriale, premessa a quella che potrà essere la prima intesa provinciale sullo sviluppo. Abbiamo condiviso l’impianto generale e l’idea della provincia di Pavia come “Smart Land” innovativa e sostenibile. Si tratta di un progetto in linea con quanto abbiamo sin d’ora detto.
Ma lo voglio dire con chiarezza e con molta franchezza alla presenza del responsabile dell’UTR e del Presidente Palli: staremo dentro a questo percorso se troveremo coerenza fra principi generali e progetti, non condivideremo proposte di infrastrutture che abbiano effetti devastanti sul territorio in termini di consumo di suolo e di impatto ambientale, non condivideremo proposte che non diano garanzia di buona e stabile occupazione, non condivideremo proposte che mirino ad aggirare le norme in virtù di una sempre più invocata richiesta di semplificazione.
Ampliamo lo sguardo: oltre il territorio, le proposte della Cgil
Come avrete notato siamo partiti dall’analisi del nostro habitat, del nostro territorio; è stata una scelta quella di non riprendere passo a passo le proposte del documento nazionale, provando piuttosto a dare una declinazione territoriale ad alcuni dei suoi contenuti. A partire dall’affermazione che siamo nel pieno di una crisi sistemica che investe l’intero assetto delle relazioni sociali, politiche, economiche e pone a rischio l’equilibrio e la convivenza tra umanità e natura.
Il presupposto su cui fondare il cambiamento si basa su tre capisaldi:
la piena occupazione, la libertà nel lavoro intesa come riconquista della propria condizione di lavoro che è il vero asse di lotta alla precarizzazione e un nuovo stato sociale pubblico e universalistico.
Il documento nazionale, anch’esso disponibile nei materiali di oggi, offre quindi la cornice fondamentale; pone temi non rinviabili ed indica le cinque azioni prioritarie che si propone diventino vertenze diffuse per dare risposte adeguate alle lavoratrici, ai lavoratori, alle pensionate e ai pensionati che stanno subendo un netto peggioramento delle loro condizioni materiali.
- AUMENTARE I SALARI E RIFORMARE IL FISCO
La tutela e la crescita dei salari è obiettivo da perseguire nel rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali e nella contrattazione di secondo livello.
La richiesta forte al Governo è di assumere misure sul piano delle politiche fiscali, che aumentino il netto in busta paga e le pensioni e realizzare una vera riforma fiscale come richiesto nella Piattaforma di CGIL CISL UIL.
Inoltre, è maturo il tempo di rivendicare al Governo un provvedimento legislativo che assegni valore “erga omnes” ai contratti nazionali firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, in cui si misuri la rappresentanza di tutte le parti sociali e si garantisca il voto delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il salario minimo sulla base del trattamento economico complessivo definito nei Contratti Nazionali, è uno strumento utile e positivo per superare il lavoro povero e le basse retribuzioni. Peccato che l’attuale governo su questa misura si sia già espresso apertamente giudicandola inattuabile e inutile senza aprire con noi una discussione.
- STOP ALLA PRECARIETÀ E RIDUZIONE DEGLI ORARI DI LAVORO
Vogliamo porre fine alla precarietà che penalizza in particolare giovani, donne, Mezzogiorno e che troppo spesso connota la condizione dei migranti, con azioni necessarie quali vertenze nei luoghi di lavoro pubblici e privati in cui rivendicare percorsi di stabilizzazione per le lavoratrici ed i lavoratori con rapporti di lavoro precari ed un nuovo Statuto dei Diritti che sia garanzia per tutto il mondo del lavoro.
Chiediamo che i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche alle imprese siano condizionati alla stabilità ed alla qualità dell’occupazione.
Auspichiamo un provvedimento legislativo sulla riduzione e la redistribuzione dei tempi di lavoro, per una nuova occupazione stabile e che garantisca il diritto alla formazione permanente.
- LEGALITÀ E LA SICUREZZA SUL LAVORO
In questi anni illegalità diffusa, appalti, subappalti, esternalizzazioni, aumenti dei ritmi e carichi di lavoro hanno portato ad un peggioramento delle condizioni di lavoro e ad una conseguente crescita delle morti e degli infortuni.
La lotta per la legalità e la sicurezza sul lavoro significa: unificare e collegare, con una grande iniziativa nazionale, tutte le attività territoriali e di Categoria contro le mafie, il caporalato, il lavoro nero e grigio e le infiltrazioni mafiose nell’economia sana dei territori; lottare per estendere a tutto il sistema degli appalti e dei subappalti privati il rispetto e la applicazione dei Contratti nazionali e delle clausole sociali; puntare su prevenzione, formazione, salute e sicurezza quali temi dirimenti e prioritari dell’azione sindacale.
Mi permetterete di dire che più di 1.000 morti sul lavoro nel 2022 ed oltre 652.000 denunce di infortunio non sono per noi solo numeri; sono persone, sono famiglie come quella di Dante Berto, delegato e attivista della Fillea di Pavia che probabilmente oggi sarebbe stato qui con noi se quella lastra di cemento non l’avesse travolto.
- NUOVO STATO SOCIALE
Bisogna chiudere la stagione dei tagli lineari e investire in un rinnovato sistema pubblico di protezione sociale.
È il momento di costruire una vertenza di tutto il sindacato confederale che rivendichi nuovi investimenti ed assunzioni non precarie, finalizzata a realizzare la centralità del servizio sanitario pubblico e universalistico, il diritto universale alla formazione e alla conoscenza, una legge nazionale per la non autosufficienza e politiche per l’invecchiamento attivo, politiche inclusive per le persone con disabilità e la piena integrazione sociale e lavorativa per i cittadini migranti.
Inoltre è necessario dare seguito alle proposte contenute nella Piattaforma unitaria di CGIL CISL UIL finalizzate ad un cambiamento radicale dell’attuale assetto delle pensioni.
Si tratta, infatti, di ricostruire un sistema previdenziale pubblico, solidaristico ed equo, che unifichi le generazioni e le diverse condizioni lavorative.
- POLITICHE DI SVILUPPO E NUOVO INTERVENTO PUBBLICO
È in gioco il futuro industriale del nostro Paese e con esso la quantità e la qualità del lavoro e della nostra società.
L’Italia non supererà le sue fragilità e la sua crisi se non affronterà la condizione di disagio diffuso nel Mezzogiorno ( e non solo ) con investimenti, nuove politiche industriali e servizi pubblici di qualità.
C’è bisogno di un nuovo e autorevole intervento pubblico.
Per questo proponiamo la costituzione di un’Agenzia per lo Sviluppo che, a partire dal Mezzogiorno e dall’obiettivo di superare i divari territoriali, definisca le priorità, costruisca e qualifichi filiere produttive, contribuisca ad aprire nuove opportunità per investimenti, pubblici e privati, nei settori strategici per il futuro del Paese e coordini gli indirizzi delle grandi aziende pubbliche.
Giusta transizione, innovazione digitale, riconversioni industriali devono essere accompagnati da piani e strumenti che garantiscano tutela sociale, riqualificazione e formazione per le lavoratrici ed i lavoratori coinvolti nei processi di riconversione.
Per questo la Cgil propone che si istituisca un Fondo nazionale che accompagni e sostenga le transizioni e le riconversioni industriali. Il Fondo dovrà prevedere investimenti di sostegno al reddito, di formazione, di aggiornamento delle competenze per le lavoratrici ed i lavoratori, con l’obiettivo di “non lasciare indietro nessuno e di garantire l’occupazione”.
Queste le proposte contenute nel documento “il lavoro crea il futuro” che ha raccolto, nella nostra provincia il 99,87 % dei consensi sulla platea complessiva dei nostri iscritti e rispetto al quale ci diciamo pronti a sostenere le mobilitazioni di carattere nazionale e, anche per quanto detto nella prima parte della mia relazione, assolutamente chiamati ad assumere la responsabilità della sua applicazione negli aspetti relativi al territorio.
Il contesto politico
Non smetteremo quindi di fare proposte ma anche di incalzare e di contestare se necessario, coloro che sono chiamati a incarichi politici ed istituzionali.
L’abbiamo fatto proclamando, il 16 dicembre scorso, insieme alla Uil, uno sciopero generale contro la manovra finanziaria proposta dal governo in carica guidato dalla leader di Fratelli d’Italia i cui contenuti non rappresentano una risposta adeguata all’aumento dell’inflazione e all’impoverimento di salari e redditi da pensione e, più in generale, non rispondono alle nostre proposte su fisco, precarietà, rafforzamento del Servizio Sanitario Nazionale e del sistema di Istruzione Pubblica.
Continueremo convintamente la nostra mobilitazione.
Cosi come continueremo a criticare e a contestare, nel merito, le scelte di Regione Lombardia che ormai da qualche decennio propone un modello basato sul libero ed indisturbato mercato, su un estremo individualismo o sul più paternalistico “ghe pensi mi”, contrario per sua natura all’intervento pubblico e le cui conseguenze sono a tutti evidenti su temi come salute, politiche sociali, formazione e ambiente.
Si, siamo di parte, l’ho sostenuto in premessa: siamo dalla parte di quel pezzo di paese disorientato, timoroso, più debole e più fragile o scoraggiato.
Lo scoramento, l’allontanamento dalla partecipazione democratica alla vita del paese, è ben visibile dal dato sull’affluenza alle urne delle ultime elezioni politiche, il dato peggiore di sempre. Quel dato deve interrogare tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
Del resto, negli ultimi 20 anni abbiamo assistito alla più grande crisi finanziaria dal 1929, agli effetti della globalizzazione sui mercati, ad un evidente riassetto delle dinamiche geopolitiche ed economiche, ad una pandemia mondiale e allo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa. Come non essere destabilizzati in un quadro di tal genere?
La destra, dal punto di vista economico, propone ricette o irrealizzabili o che rischiano di cancellare quei meccanismi di redistribuzione della ricchezza che sono necessari per rendere concrete le promesse egualitarie della nostra Costituzione e dimostra, sul piano dei diritti, degli obiettivi che definirei reazionari.
Permettetemi di dire, con franchezza, che non posso riconoscermi con chi pubblicamente afferma: “no alla lobby gay, no alla lobby LGBT, no all’ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte, sì ai valori universali cristiani, sì alla famiglia tradizionale, no all’immigrazione”.
Ecco, se questa è la visione di società della destra che esprime Giorgia Meloni non solo posso dire che non è la mia, ma permettetemi di dire che questa non è l’idea di società e di progresso che ha in mente la Cgil, né da un punto di vista economico, né dal punto di vista sociale.
Questo significa che la Cgil è di sinistra?
“La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) è un’organizzazione sindacale generale di natura programmatica, unitaria, laica, democratica, plurietnica, di donne e uomini.
Ripudia e combatte ogni forma di molestia, discriminazione e violenza contro le donne e per orientamento sessuale ed identità di genere.
Ripudia fascismo e razzismo, sostiene i valori e i principi di legalità e contrasta con ogni mezzo le associazioni mafiose, terroristiche e criminali.
Promuove la lotta contro ogni forma di discriminazione.
La CGIL basa i propri programmi e le proprie azioni sui dettati della Costituzione della Repubblica e ne propugna la piena attuazione”.
Se questo, che è uno stralcio del nostro Statuto, significa essere di sinistra, noi siamo orgogliosamente di sinistra!
Ed è quel riconoscerci nei principi della nostra Costituzione, come abbiamo visto, a rappresentare la bussola del nostro percorso. E non smetteremo mai di promuovere l’Antifascismo come elemento chiave identitario. Sempre saremo al fianco dell’Anpi e ringraziamo l’Anpi provinciale per l’impegno, la dedizione e la caparbietà con la quale porta avanti questi valori e la memoria della Resistenza.
Vogliamo la pace e un’Europa più forte
Come se pandemia e crisi economica non fossero sufficienti a infondere paura, il 2022 ci ha ricordato l’esistenza della guerra. Ce l’ha ricordato, sì, perché quella in Ucraina non è né l’unica, né l’ultima in termini temporali.
Le guerre sono sempre state presenti nel mondo, siamo noi a non volerle vedere, a sentirle lontane, come nello Yemen, in Afghanistan, in Kurdistan, in Myanmar. E poi in buona parte dell’Africa e in alcune regioni dell’America Latina e del subcontinente indiano.
Ogni guerra è l’incapacità degli Stati e delle istituzioni internazionali di far rispettare la legislazione e il diritto internazionale.
Non possiamo lasciarci sopraffare da questi fallimenti e assecondare la logica della guerra, dell’escalation militare, dell’aumento delle spese militari, del taglio dei bilanci sociali e sanitari. In ogni guerra le prime vittime sono i civili, i lavoratori, le donne, gli anziani, con perdite di vite umane che non potranno mai essere recuperate.
In ogni guerra c’è chi fa affari e aumenta i propri profitti. Una ristretta élite aumenta la propria ricchezza e una vasta maggioranza aumenta la propria sofferenza, l’ingiustizia e la povertà. Anche la guerra crea diseguaglianza.
L’invasione dell’Ucraina ad opera della Russia pone un’altra questione di fondo che è il ruolo e la funzione dell’Europa.
La globalizzazione è (quasi) finita e il pianeta si sta dividendo in blocchi sempre più contrapposti; alla libertà del commercio globale si sta sostituendo l’intervento diretto e massiccio degli stati in un contesto bellicoso di quasi economia di guerra.
L’Europa è sotto attacco e occorre una svolta decisa perché i governi europei possano cercare di risolvere il conflitto in Ucraina, l’emergenza tragica di milioni di profughi e la gravissima crisi energetica.
La Comunità Europea è nata per assicurare pace, sviluppo e benessere. Però la UE è diventata solo un grande e aperto mercato, una unione doganale senza direzione politica e senza strategie.
Bisogna prendere atto che la vecchia Europa ha fallito non solo perché sul piano della sicurezza non è in grado di reggere i conflitti di varia natura sempre più gravi del mondo multipolare ma anche perché finora ha approfondito le divisioni economiche e politiche tra le nazioni e le diseguaglianze sociali dentro le nazioni europee.
Non è certamente quella fondata sul dogma della completa libertà dei movimenti di capitale, della deregolamentazione della finanza, dei rigidi vincoli fiscali, del pareggio di bilancio pubblico, delle restrizioni alle politiche pubbliche quella che auspichiamo.
Non è certamente l’Europa idealizzata e proposta da Spinelli e Rossi che profeticamente, nel 1941 lanciavano l’idea di una rivoluzione democratica d’Europa: creare una federazione europea ispirata ai principi di pace e libertà, con base democratica dotata di parlamento e governo e alla quale affidare ampi poteri, dal campo economico alla politica estera. Andrebbe riletto oggi, quel Manifesto di Ventotene, che in più occasioni abbiamo discusso con il Movimento Federalista Europeo e perseguirne i suoi obiettivi.
Riflessioni conclusive
Appare evidente, insomma, che la sfida è grande e gli obiettivi alti a partire da quanto il prof Barca ci indicava in funzione del nostro ruolo e della nostra azione di rappresentanza.
Propongo, a questo Congresso, di assumersi la responsabilità di continuare nel percorso intrapreso, di insistere nel merito delle proposte e delle azioni che mettiamo in campo quotidianamente. Che si tratti di una vertenza sindacale, dell’approccio ad un bisogno individuale, del confronto con i colleghi in un’assemblea o davanti alla macchinetta del caffè, sosteniamo con orgoglio le nostre posizioni ed i nostri valori. Non lasciamoci intimorire anche noi dalle paure e non facciamoci prendere dallo scoramento, perché noi siamo. Siamo qualcosa di più della somma dei singoli io. Noi siamo voce collettiva, siamo orchestra, siamo supporto e sostegno.
Per esserlo è fondamentale mantenere l’unità interna ed esterna, unirci con chi condivide i nostri principi e i nostri valori, confrontarci con chi rappresenta ambiti specifici nel nostro sistema, con il Sunia, con la Federconsumatori con l’Auser.
Insieme rappresentiamo un presidio territoriale fondamentale, con il nostro sistema di tutele individuali e con la preziosa presenza dei volontari e delle volontarie dello Spi raggiungiamo anche le aree più periferiche della provincia.
Permettetemi quindi di ringraziare gli operatori e le operatrici dell’Inca, del Caf, dell’Ufficio Vertenze e delle nostre accoglienze: compagni e compagne motivati, professionalmente competenti, pazienti. Sono coloro che intercettano ogni giorno quella rabbia di cui parlava il Prof. Barca, il termometro della tensione sociale, coloro che provano a dare risposte ai bisogni che le persone portano con sé entrando nelle nostre sedi. Sempre più, attraverso gli strumenti che l’innovazione ci mette a disposizione dovremo essere in grado di anticipare quei bisogni e tradurli in un diritto o in una prestazione.
Così come ha iniziato a fare lo Spi, nell’ambito dei suoi sportelli sociali con la così detta calcolatrice dei diritti che verifica non solo i bisogni di pensionate e pensionati ma anche di cittadini e cittadine attivi. E per il lavoro svolto dai volontari e dalle volontarie dello Spi, sia con gli strumenti più tradizionali che con i nuovi, mi sento di dire anche a loro un grande grazie.
Grazie al motore interno della nostra Cgil, a coloro che dietro le quinte gestiscono dati, numeri, conti, ed efficienza degli strumenti: all’amministrazione, all’ufficio tesseramento e alla nostra sistemista.
In questi anni abbiamo fatto due importanti investimenti: l’uno riguarda la formazione dei nostri delegati, l’altro il modo di comunicare della nostra organizzazione territoriale; quindi grazie a Giorgio e a Renata per il loro lavoro che ha permesso di inserire nel percorso formativo, nonostante la sospensione dovuta al Covid, circa 200 delegati fra i diversi corsi e a Thomas, il nostro comunicatore, che ha dato un po’ di freschezza, di innovazione e di competenza al nostro modo di comunicare all’esterno. Insieme a Thomas ringrazio anche Cosimo che immortala i momenti più importanti della nostra attività con la sua fotocamera.
Sugli aspetti organizzativi molto abbiamo discusso e deciso nell’ambito della Conferenza d’organizzazione svoltasi nel 2022 e per questo motivo non ho voluto soffermarmi ulteriormente su tali aspetti. Auspichiamo un rinnovato impegno dell’Organizzazione tutta nei confronti dell’ambito territoriale, cui spetta sempre più un ruolo da protagonista nell’ambito delle dinamiche di trasformazione.
Noi faremo quanto nelle nostre possibilità sia nell’intercettare ed attuare il cambiamento, sia nella funzione di ricomposizione di un mondo del lavoro frammentato e parcellizzato. Allo stesso tempo chiediamo ed auspichiamo lo stesso impegno da parte delle strutture nazionali, confederali e di categoria per una ridefinizione di perimetri contrattuali che non generino inutili e dannose sovrapposizioni, difficili da gestire fra le categorie in ambito locale.
Allo stesso modo già operiamo affinché la contrattazione sociale territoriale sia strumento ordinario di azione sindacale: non ci siamo fermati negli anni più intensi della pandemia e nel solo 2022, anno di ripresa a pieno regime, abbiamo sottoscritto unitariamente 5 accordi di programma con i Piani di Zona, coprendo quindi il 100% della popolazione, un accordo con la Provincia relativo al Bonus Idrico, un accordo con ATS sul contrasto al fenomeno della ludopatia, un accordo con la rete interistituzionale per il contrasto alla violenza di genere, un accordo con l’Unione dei comuni di Belgioioso, Filighera e Corteolona sull’utilizzo dei fondi del PNRR , 22 accordi con altrettanti comuni.
Proposta e azione; teoria, prassi e valori: questo il nostro motto.
Permettetemi un ultimo ringraziamento, il più importante; a tutte e tutti voi, delegati e delegate, attivisti e volontarie presenti e a coloro che non sono qui oggi, a chi ogni giorno si spende per la nostra causa.
Per la passione e l’impegno, per essere stati e per essere sempre la vera forza della Cgil anche nei momenti più difficili, forza senza la quale non saremmo qui, senza la quale non saremmo quello che siamo.
Dedichiamo questo nostro VIII congresso alle giovani donne iraniane, esempio di lotta per i diritti, di resistenza alla violenza di genere, di emancipazione e di azione collettiva. Esempio vero di come si possano superare gli interessi individuali battendosi, con i propri ideali e i propri valori, per una causa più alta e più giusta; esempio del quale la nostra società, ma anche noi, abbiamo un grandissimo bisogno.
Buon lavoro e buon congresso a tutte e a tutti noi, e sempre e per sempre, viva le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, viva la Cgil!