DOCUMENTI CONGRESSUALI

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XIX CONGRESSO

Documento: IL LAVORO CREA IL FUTURO

LA FUNZIONE STRATEGICA DEL CONGRESSO

Questo nostro XIX Congresso si svolge in un momento straordinariamente complesso e inedito. Stiamo infatti vivendo la crisi più profonda dal dopoguerra e dobbiamo misurarci con eventi che condizioneranno il nostro futuro e le relazioni sul pianeta: pandemia, riscaldamento climatico, trasformazione digitale, del lavoro, demografica e il ritorno della guerra in Europa quale strumento di regolazione delle controversie tra gli Stati e le persone, con una nuova corsa al riarmo.

È una fase storica difficile per la quale servono risposte adeguate alla complessità del momento. Cogliere tutti gli elementi di cambiamento dovrà, quindi, essere il compito di una discussione congressuale aperta sulle proposte che avanziamo e su come farle diventare azione sindacale concreta.

La Cgil in questo passaggio storico, anche sulla base di quanto previsto dalla nostra Costituzione, ribadisce la propria contrarietà ad ogni forma di guerra, il proprio impegno per affermare la pace e uno sviluppo sostenibile. Per questa ragione riteniamo priorità assoluta riaffermare il valore fondamentale della democrazia politica ed economica, quale condizione per l’esistenza del Sindacato Confederale, per le libertà civili e del lavoro.

Le centinaia di manifestazioni di solidarietà e sostegno alla nostra organizzazione da parte di sindacati ed associazioni di ogni parte del mondo, in seguito al vile attacco fascista del 9 ottobre 2021, sono un ulteriore incentivo e stimolo per un impegno ancora più intenso e programmato, per dare maggiore confederalità alla nostra azione, anche in vista delle prossime scadenze congressuali della Confederazione sindacale internazionale (CSI) e della Confederazione Europea dei Sindacati (CES).

Per un Sindacato Confederale come è la CGIL dal 1906 -una peculiarità positiva da preservare nel panorama europeo- la ragione fondamentale di esistere è quella di rendere le donne e gli uomini soggetti dotati di diritti che si realizzano nella loro vita e nel loro lavoro. Ciò non semplicemente in una logica di parità ma assumendo, come CGIL, la differenza di genere, con l’obiettivo di trasformare sia l’organizzazione del lavoro che le relazioni ed i rapporti tra le persone.

La contrattazione collettiva, a tutti i livelli, e la solidarietà sono gli strumenti che possono permettere alle lavoratrici e ai lavoratori, tramite l’azione sindacale, di migliorare le loro condizioni di lavoro e di partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese per affermare una pari dignità tra lavoro e impresa e una reale giustizia sociale. In questi anni così non è stato.

Nel nome della globalizzazione, il lavoro è stato svalorizzato fino a rendere sempre più insicuri i luoghi di lavoro, mettendo a rischio la vita delle persone che lavorano; la ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi, il potere economico e finanziario delle grandi multinazionali ha prevalso sulla politica e sugli Stati, indebolendo così la democrazia.

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La disuguaglianza e i divari generazionali, di genere e territoriali sono aumentati, la precarietà del lavoro è diventato un eterno presente, al punto che si è poveri anche lavorando.
Dentro questo difficile contesto abbiamo svolto, negli anni che abbiamo alle spalle, la nostra iniziativa con il Piano per il Lavoro, la Carta dei Diritti, i referendum, il Sindacato di Strada e una diffusa azione di contrattazione collettiva e vertenziale e abbiamo voluto affermare la centralità del lavoro, della sua qualità, dei sui diritti. Nel pieno della pandemia, anche attraverso la mobilitazione abbiamo strappato risultati importanti:

  •   Sui protocolli su salute e sicurezza, frutto anche dell’impegno unitario e del ruolo fondamentale svolto dalle delegate e dai delegati e dagli RLS nei comitati aziendali e territoriali;
  •   sulla tutela dei redditi e sul blocco dei licenziamenti;
  •   sul rinnovo di importanti contratti nazionali, con aumenti salariali che hanno superato

    l’inflazione e con importanti conquiste normative;

  •   sugli Appalti pubblici, stabilendo che i lavoratori in subappalto hanno le stesse tutele

    economiche e normative dei lavoratori delle ditte appaltatrici e sul ripristino della clausola

    sociale;

  •   sui Protocolli sulle opere pubbliche, sul lavoro pubblico, sulla scuola e sull’attuazione del

    PNRR ai quali -in particolare gli ultimi due- bisogna dare attuazione;

    Inoltre, abbiamo dato vita a vertenze aziendali, di gruppo e territoriali a difesa del lavoro e contro le delocalizzazioni. Non abbiamo esitato a ricorrere, insieme alla UIL, allo sciopero generale lo scorso 16 dicembre quando su fisco, lotta alla precarietà, mezzogiorno, politiche industriali, pensioni, non ci sono state risposte o, se ci sono state, non andavano nella direzione da noi auspicata. È il momento di investire sul lavoro e sulla sua qualità, a partire dalla formazione permanente, un diritto fondamentale da conquistare con la nostra azione contrattuale, se non si vogliono subire le nuove forme di disuguaglianza di cui, l’esclusione dal sapere, rappresenta la forma più discriminatoria.

    Per questo le lavoratrici e i lavoratori devono conquistarsi il diritto di parola sulla natura degli investimenti, sulle scelte strategiche e sui modelli organizzativi delle imprese. Si tratta di pensare a nuove forme di democrazia economica per un nuovo protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori e per far sì che la Costituzione non rimanga fuori dai cancelli dei luoghi di lavoro.

    Non nascondiamoci che, insieme ai risultati raggiunti e alle tante esperienze positive di cui siamo protagonisti, permangono evidenti difficoltà. Per questa ragione nell’Assemblea Organizzativa di Rimini abbiamo deciso di cambiare il nostro modello organizzativo, guardando alla persona, non solo nell’esercizio del suo lavoro ma anche della sua condizione sociale complessiva lungo tutto l’arco della vita, investendo sulla digitalizzazione e la comunicazione, su un piano straordinario di formazione, allargando e ripensando la nostra capacità di rappresentanza nei luoghi di lavoro e nel territorio, nelle filiere produttive, estendo la democrazia e la partecipazione e indicando nuovi contenuti dell’azione contrattuale.

    Ora tocca al Congresso completare il cambiamento necessario.

    LA COMPLESSITÀ DELLA CRISI

    Siamo nel pieno di una crisi sistemica che investe l’intero assetto delle relazioni sociali, politiche, economiche e pone a rischio l’equilibrio e la convivenza tra umanità e natura.
    Un quadro reso ancora più difficile dal fatto che da tempo le forze politiche tutte, stentano a rappresentare le istanze del mondo del lavoro e ad esprimere di conseguenza un credibile progetto di cambiamento. Cambiamento da fondare su tre capisaldi:

  •   la piena occupazione,
  •   la libertà nel lavoro intesa come riconquista della propria condizione di lavoro che è il vero

    asse di lotta alla precarizzazione,

  •   un nuovo stato sociale pubblico e universalistico.

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Anche per queste ragioni è cresciuta in tutti i Paesi europei una destra nazionalista e xenofoba. La presenza di culture e forze nazionaliste e neofasciste colpisce la partecipazione democratica e il mondo del lavoro e propone un modello di società non coerente con i nostri valori. Il sindacato, infatti, è un obiettivo prioritario di questi movimenti

LA GUERRA, L’EUROPA, IL NUOVO ORDINE MONDIALE

Un nuovo drammatico conflitto si sta svolgendo nel cuore dell’Europa. La responsabilità di questa guerra è della Russia con la sua ingiustificabile e inaccettabile decisione di invadere l’Ucraina portando una grave lesione al diritto internazionale, all’autonomia e all’autodeterminazione di un popolo e di un Paese. In difesa di questo diritto sosteniamo il popolo ucraino con aiuti umanitari e progetti di accoglienza. Il livello dello scontro sta sempre più salendo e la guerra sta ridisegnando l’assetto geopolitico del mondo, mettendo anche in discussione la deterrenza quale strumento di equilibrio tra potenze nucleari.

Ritorna la logica dei blocchi militari, viene meno la neutralità e il non allineamento della Svezia e della Finlandia.
La Russia, con l’invasione dell’Ucraina, ha affermato di voler cambiare il corso e i valori della politica sostituendo “l’universalismo dei diritti” con un nuovo “pluralismo dei valori” e di far valere – in alternativa alla mediazione dei diversi interessi – il principio dei rapporti di forza e il conseguente ricorso al conflitto armato, quale strumento di riduzione delle controversie internazionali.

Bisogna adoperarsi per fermare il conflitto armato in Ucraina e conquistare il negoziato. Oggi la guerra nucleare è una minaccia reale alla sopravvivenza del genere umano.
È il momento di riprendere l’appello promosso nel 1955 da Einstein e Russel, portato avanti da Gino Strada con Emergency, ripreso di recente da Papa Francesco, che chiedeva a tutti i governi del mondo di rinunciare alla guerra e “trovare i mezzi pacifici per la soluzione di tutte le controversie”. Anche per questa ragione siamo contro le politiche di riarmo.

Il conflitto in corso si riflette inevitabilmente sulla Cina. La sua apertura alla Russia era concepita quale risposta alle intenzioni degli Stati Uniti d’America di isolarla e ridurne le possibilità egemoniche. Inoltre, la Russia poteva rappresentare un fondamentale fornitore di materie prime. Il conflitto in corso mette in crisi questi presupposti. A ciò si aggiunge che l’epidemia di Covid-19 rallenta la circolazione delle merci e l’economia nel suo complesso. Un’altra crisi che si aggiunge ad un quadro già di per sé grave.

È necessario che l’Europa maturi una propria visione in autonomia perché questa guerra è dentro il nostro territorio. L’Unione Europea deve dotarsi di una politica estera e, conseguentemente, di una politica di difesa comune, fondata sul concetto di sicurezza condivisa, ripartendo dalle finalità della conferenza di Helsinki per un’Europa di pace. In gioco vi è la sua stessa esistenza politica. Diversamente dalla Polonia e dai Paesi baltici, Francia, Spagna, Germania e Italia stanno chiedendo una soluzione politica e negoziata del conflitto, consapevoli dell’insostenibilità economica e sociale delle sue conseguenze. Bisogna allora rimettere in moto la politica per un immediato cessate il fuoco, condizione necessaria per arrivare ad una Conferenza Internazionale di pace, come proposto dal Presidente Mattarella.

Il multilateralismo è l’unica strada possibile ed è un’Europa sociale unita, autonoma, che può costruirlo e affermarlo. In questo senso, intendiamo rafforzare il quadro di alleanza sindacale sulla Sicurezza Comune per impegnarci, a livello internazionale ed europeo, per il disarmo e per il ripristino dei trattati sul controllo degli armamenti.

Lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, sono tra coloro che maggiormente subiscono le conseguenze delle guerre. Vengono colpiti i diritti e l’esercizio democratico atto a cambiare e migliorare le proprie condizioni. I conflitti, inoltre, alimentano nazionalismi, contrappongono i lavoratori tra loro e minano alle fondamenta il principio della solidarietà. Rafforzeremo l’impegno della CGIL per sostenere i sindacati democratici e rappresentativi nel mondo, alimentando la

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solidarietà internazionale contro gli attacchi alla democrazia e ai diritti. Continueremo a impegnarci per una pace giusta in Israele-Palestina, chiedendo l’applicazione del diritto internazionale.
Il sindacato in Europa ha un grande compito da svolgere ed è chiamato a costruire le condizioni per una nuova unità del mondo del lavoro e per affermare una nuova qualità dello sviluppo fondata sulla pace, la cooperazione tra i popoli, la qualità del lavoro e delle produzioni, un sistema sociale in grado di garantire benessere.

IL NUOVO ORDINE MONDIALE TRA PANDEMIA E GUERRA

Siamo al collasso di un sistema sul quale fragilmente si è retto l’ordine mondiale. Come può il mondo del lavoro affrontare il suo rapporto con tutto ciò che succede a livello internazionale? Con che strumenti le lavoratrici e i lavoratori possono interagire a livello globale per un progetto comune? Su questi punti dobbiamo essere sfidanti e costruire un’iniziativa internazionale in grado di rispondere a queste esigenze, in linea con i bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori. Per la complessità e l’urgenza di queste sfide globali, la CGIL continua il lavoro di alleanze e riflessioni per l’elaborazione di richieste e proposte alle istanze sindacali europee e internazionali e il rafforzamento di un’agenda sindacale europea e globale progressista, recuperando in particolare il profilo sindacale della CSI, per dar voce e rappresentanza alle periferie del mondo dove persistono ancora fenomeni intollerabili come il lavoro nero, il lavoro sfruttato, l’informalità senza diritti, la persecuzione di leader sindacali e la repressione della libertà di associazione da parte di regimi autoritari.

Il contesto internazionale nel quale ci troviamo è noto. La crescita esponenziale dell’incertezza deprime i consumi e gli investimenti con effetti pesanti sul PIL e sull’occupazione. La prospettiva è quella di una consistente riduzione dei tassi di crescita, se non di una vera e propria recessione. Molti dati ci dicono che l’inflazione rimarrà oltre il 6% per tutto il 2022 con un effetto assai pesante sul potere di acquisto dei salari e delle pensioni. L’interruzione del commercio internazionale, l’aumento delle tensioni sui mercati dell’energia e delle materie prime, sommandosi ai problemi già emersi con la pandemia, stanno destabilizzando le catene globali del valore e stanno mettendo a rischio intere filiere industriali. Inoltre, la contrazione delle esportazioni e delle importazioni sta producendo una gravissima crisi alimentare che colpisce in particolare i Paesi già in difficoltà come, ad esempio, quelli del continente africano. La crisi afghana e ancor di più l’arrivo di ormai quasi 5 milioni di rifugiati dall’Ucraina hanno messo ulteriormente in evidenza le contraddizioni delle politiche dei Governi, in particolare di quelli dell’Unione Europea, relativamente alle politiche migratorie. Il Patto Europeo su immigrazione e asilo è il tentativo esplicito di cancellare il diritto d’asilo e di criminalizzare l’immigrazione e la solidarietà. La CGIL rifiuta le pratiche dei respingimenti e dei centri di detenzione, le chiusure dei porti e delle frontiere che caratterizzano la visione securitaria dell’Unione Europea. Chiediamo che alla prossima scadenza non venga riconfermato il memorandum Italia-Libia. Vogliamo un’Europa capace di reali politiche d’integrazione.

La CGIL, in tal senso, conferma il suo impegno per la ratifica, la promozione e il monitoraggio – soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – degli standard internazionali del lavoro, definiti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, oltre che per l’adozione di norme sulle nuove forme di lavoro. Questo passa anche tramite una nuova stagione di accordi commerciali, in particolare con i Paesi africani, basata sul raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, degli obiettivi climatici e sul rispetto dei diritti fondamentali del lavoro, a partire dalla partecipazione delle parti sociali nel loro monitoraggio. In tal senso, continueremo il nostro impegno per richiedere finanziamenti alla cooperazione e allo sviluppo volti al raggiungimento di tali obiettivi.

La CGIL ritiene non rinviabile una profonda revisione dei trattati europei, come emerso nelle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa e come affermato con forza nel documento unitario redatto da CGIL, CISL e UIL in preparazione della Conferenza: occorre dare potere legislativo al Parlamento europeo, superare il meccanismo decisionale basato sull’unanimità ed estendere gli ambiti di competenza delle istituzioni UE oltre gli attuali.

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Una riforma dell’architettura istituzionale non può prescindere da una revisione della governance economica, a partire dal superamento del Fiscal Compact e del Patto di stabilità e crescita, accompagnando i Trattati con un Protocollo per il progresso sociale che sancisca la prevalenza dei diritti sociali sulle libertà economiche. Occorrono regole omogenee sul piano fiscale, eliminare i paradisi fiscali e rafforzare il bilancio europeo, attraverso un aumento considerevole delle risorse proprie. Inoltre, dopo l’approvazione del Piano di Ripresa e Resilienza (Next generation EU), occorre dare vita a strumenti finanziari di mutualizzazione del debito (eurobond), quale condivisione dei rischi, e a politiche monetarie non convenzionali a sostegno delle politiche industriali europee in settori strategici, quali le tecnologie digitali orientate alla sostenibilità ambientale e alla riconversione energetica verso le fonti rinnovabili. Si può pensare, ad esempio, ad uno strumento sul modello del PNRR, ad esempio un nuovo recovery, che acceleri i processi di decarbonizzazione e che favorisca gli investimenti finalizzati alla riconversione industriale e alle fonti rinnovabili.

La CGIL è impegnata per migliorare le proposte di iniziativa legislativa in ambito europeo su salari minimi e contrattazione, lavoro delle piattaforme, trasparenza salariale, equilibrio vita/lavoro e per rivendicare la piena attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali.

SINDACATO E SISTEMA POLITICO

Da tempo è aperta nel Paese una crisi di rappresentanza e di partecipazione democratica dovuta al fatto che le strade della politica e del sociale si sono divaricate e non si è ancora ricostruita una relazione.
Viviamo un profondo cambiamento sociale, politico, economico e di rapporti tra le persone che sta sconvolgendo i valori e le identità.

È una questione che riguarda anche il sindacato. Per questo democrazia, rappresentanza, contrattazione sono fulcro della nostra iniziativa fondate sul ruolo delle delegate, dei delegati, delle attiviste e degli attivisti delle leghe dello SPI.
Vi è una crisi della politica che ha messo in discussione la fiducia, l’identità e lo stesso significato delle parole, che va affrontata in tutta la sua profondità. Ad esempio, la parola sinistra non sta più ad indicare la centralità del lavoro.

Questo ha contribuito a cambiare la composizione sociale delle forze di sinistra lasciando scoperto tutto il territorio delle vecchie e nuove povertà e delle vecchie e nuove forme di sfruttamento.
Ed in questo contesto hanno preso forza le pulsioni del populismo perché c’è un mondo sociale, sempre più vasto, senza voce e senza rappresentanza.

È nostra convinzione, che proprio sulla grande questione del lavoro, si sia realizzata la maggior rottura tra la rappresentanza sociale e la rappresentanza politica tutta. Si è cancellata la centralità e la cultura del lavoro e non lo si è più pensato come soggetto collettivo. La crisi del lavoro è la crisi della sinistra. In secondo luogo si è affievolito il carattere alternativo dei programmi tra schieramenti diversi. E questo lo si è visto su molti temi e in diverse circostanze: ad esempio sulla precarietà del lavoro, sulla riforma delle pensioni, che ancora oggi grava sulle spalle di tutti, e storia più recente, sulle misure fiscali.

La politica deve tornare a rappresentare la cultura del lavoro e gli interessi materiali delle lavoratrici e dei lavoratori. Deve superare la frattura sociale esistente. Ricostruire la rappresentanza e la partecipazione è un terreno fondamentale per dare nuova linfa alla stessa democrazia e agli stessi partiti.

Noi vogliamo ambire a riunificare il mondo del lavoro, condizione imprescindibile per affermare una nuova cultura politica, fondata sulla centralità della libertà nel lavoro e dei suoi diritti e sulla capacità di affermarla nei luoghi di lavoro e nel territorio in cui si vive. Il nostro obiettivo non è essere il sindacato di opposizione o di governo. Il compito delle organizzazioni sindacali, nella loro totale autonomia, è quello di sviluppare con forza un’azione di pressione, di critica e di sfida progettuale nei confronti del sistema politico preso nel suo complesso, senza rapporti privilegiati e senza collateralismi.

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Il sindacato, oggi più che nel passato, ha la responsabilità di promuovere una partecipazione di massa alla vita democratica nei luoghi di lavoro e nel Paese, assumendo l’obiettivo di una piena applicazione dei principi e dei valori della nostra Carta Costituzionale.
La CGIL vuole essere un sindacato democratico, pluralista ed unitario delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, che vuole contrattare e realizzare accordi con le Imprese, con il Governo e con le Istituzioni.

Siamo un soggetto sindacale che fa dell’autonomia e della confederalità i tratti distintivi del suo agire.
Autonomia non è autosufficienza ma rappresenta la condizione per rivendicare ed esercitare con pari dignità, nei confronti di tutti gli interlocutori, un ruolo finalizzato alla trasformazione della società, in senso di maggiore giustizia sociale e libertà nella vita e nel lavoro. Confederalità significa anche far vivere un soggetto sindacale portatore di un progetto di cambiamento fondato sui bisogni e sugli interessi di chi rappresenta e non in una logica di scambio con la politica e con le imprese.

UN NUOVO MODELLO SINDACALE PER L’UNITÀ

In Italia, in Europa, nel Mondo esistono diversi modelli sindacali ed è aperta una discussione sul ruolo e la funzione della contrattazione e della partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, in quanto è in gioco l’esistenza stessa del sindacato.
In questi anni di globalizzazione dei mercati e della finanza, la tendenza che ha prevalso tra i capitalismi internazionali è stata la scomposizione dei cicli produttivi e dei servizi e quella di togliere al lavoro qualsiasi soggettività, non solo in termini di diritti, ma fino al punto di ridurre il lavoro a pura merce, non più elemento essenziale e centrale della società. La pandemia, la rivoluzione digitale, la crisi ambientale e la crescita demografica hanno accelerato e messo a nudo i limiti e le contraddizioni di tale modello, diventando oggetto di discussione e di preoccupazione non solo per il mondo del lavoro. La concentrazione di ricchezza e potere (finanza, multinazionali, organismi internazionali) hanno determinato la crescita delle diseguaglianze e la crisi delle democrazie.

Con questo Congresso noi vogliamo avanzare una proposta di modello sindacale con l’obiettivo di avviare una nuova fase di unità del mondo del lavoro e sindacale ed una nuova capacità di contrattazione.
Non è una discussione di routine quella che proponiamo a CISL e UIL, perché pensiamo ci sia bisogno di una svolta.

In un mondo del lavoro che ha perso la sua omogeneità, la rappresentanza e la contrattazione vanno ripensate, per ricostruire la conoscenza dell’organizzazione del lavoro e per allargare la rappresentanza a tutte le forme di lavoro, anche sperimentando nuove pratiche mutualistiche e solidali e qualificando a bilateralità contrattuale.

Un sindacato che affonda le sue radici materiali nelle condizioni di lavoro e di vita delle persone, che sia in grado di realizzare una contrattazione che agisce su tutti gli aspetti che compongono la prestazione lavorativa nell’era della digitalizzazione.
Il movimento sindacale è forte se democratico e rappresentativo e non semplicemente se legittimato da Governo e controparti.

Le nuove forme produttive cosiddette “snelle”, il tramonto della grande fabbrica come modello organizzativo della produzione industriale, la crescita di attività e servizi dove esistono condizioni di lavoro qualitativamente inadeguate e bassi salari, hanno avuto un impatto pesante sulla quantità e qualità dell’occupazione.

Inoltre, la catena degli appalti e dei subappalti e le esternalizzazioni, che coinvolgono ampiamente anche il settore pubblico, hanno finito con il produrre disuguaglianze di reddito e di diritti. Le tecnologie della comunicazione e dell’informazione consentirebbero un’organizzazione del lavoro meno ripetitiva e gerarchica, più aperta, ove centrale diventa la stessa intelligenza e creatività del lavoratore. Oggi non è così. Prevale ancora, nella cosiddetta impresa moderna, una logica gestionale

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ed organizzativa “di chiusura” degli spazi di democrazia e di libertà. C’è una contraddizione di fondo mai superata tra la libertà della persona, del cittadino, e il diritto di proprietà, che spesso nega alle lavoratrici e ai lavoratori il diritto di perseguire, anche nel lavoro, la realizzazione di sé, di conseguire attraverso di esso la propria indipendenza, di partecipare alle decisioni che si producono nei luoghi di lavoro.

È per questo necessario con la contrattazione conquistare spazi di codeterminazione, fondati sul diritto all’informazione preventiva ed al diritto di proposta, sul diritto alla conoscenza ed alla formazione, alla mobilità professionale verso l’alto, all’eguaglianza di opportunità fra i soggetti ed i generi. Questa è la via di una partecipazione negoziata da realizzare nella fase di progettazione dei cambiamenti e delle scelte strategiche.

Proponiamo un’idea dell’impresa come un sistema nel quale tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi. In cui si supera il modello del comando unico ed esclusivo dove il sindacato è ammesso solo se assume a prescindere gli obiettivi dell’impresa.
Per questo contrapporre il “sindacato conflittuale” e il “sindacato partecipativo”, come due modelli antitetici, non ha assolutamente alcun senso, perché questi due momenti sono sempre necessariamente intrecciati e l’uno rinvia all’altro. Il loro equilibrio può, di volta in volta, variare a seconda delle situazioni concrete, delle scelte degli attori in campo, dei rapporti di forza. Il punto chiave delle relazioni sindacali è riconoscere che l’impresa è un sistema sociale complesso nel quale convivono diversi punti di vista, diverse soggettività e se dunque si possa aprire uno spazio di negoziazione che renda possibile la definizione di un punto di equilibrio. Le nostre radici e l’esperienza di sindacato confederale ci permette di indicare con chiarezza un modello sindacale e di relazioni industriali fondato quindi sulla rappresentanza, la democrazia e la contrattazione.

Per questo proponiamo di dare vita a una stagione di elezioni generalizzate delle RSU e di sperimentare, nelle imprese con meno di 15 dipendenti, forme di rappresentanza eletta dalle lavoratrici e dai lavoratori a livello territoriale, di zona e di bacino. Inoltre, per ampliare i luoghi della confederalità e dare impulso alla contrattazione inclusiva, si possono sperimentare nel territorio coordinamenti unitari, di sito e di filiera, di delegate e delegati.

La democrazia è la condizione per una nuova e vera unità sindacale. Non pensiamo ad un sindacato unico. Pensiamo ad un sindacato democratico, autonomo e pluralista che garantisca alle iscritte e agli iscritti alle organizzazioni sindacali, e a tutte le lavoratrici ed i lavoratori, il diritto di validare, attraverso il voto, le piattaforme e gli accordi sindacali che li riguardano: aziendali, di gruppo, territoriali, nazionali.

È giunto il momento di riunificare, nei Contratti Nazionali di lavoro, le tutele e i diritti di tutte le forme di lavoro e costruire proposte che consentano la riduzione del numero dei contratti e un loro accorpamento anche riducendo, così, il dumping contrattuale.
Nello spirito degli accordi interconfederali e delle convenzioni, fin qui stipulate, consideriamo necessario un provvedimento legislativo di sostegno alla contrattazione collettiva, al diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere le Rsu e di validare, tramite il voto, le piattaforme e gli accordi che li riguardano; che dia validità erga omnes sia agli aspetti economici che agli aspetti normativi dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, certificando la rappresentanza delle parti che li stipulano.

Per la CGIL la concertazione, per ciò che riguarda i rapporti con il Governo ed il sistema delle imprese, rimane un importante metodo che presuppone obiettivi condivisi e non un fine dell’agire sindacale. Non vediamo oggi le condizioni di un generico patto sociale e di un’indistinta concertazione. È il momento di proseguire la mobilitazione unitaria a sostegno delle piattaforme costruite insieme a CISL e UIL per realizzare accordi con il Governo e con le controparti che superino la precarietà e creino lavoro stabile e ci facciano uscire da una vera e propria pandemia salariale; per una vera riforma fiscale e previdenziale, per nuove politiche energetiche, industriali e di sviluppo.

IL RISCATTO DEL LAVORO PER RICOSTRUIRE L’ITALIA

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Questo nostro Congresso deve far camminare insieme l’elaborazione e il pensiero con l’azione sindacale concreta nei luoghi di lavoro, nel territorio, nel Paese.
Nella seconda parte di questo documento saranno indicati temi che completano ciò che la CGIL considera fondamentale per i prossimi 4 anni, con il dettaglio di proposte e obiettivi che si chiede al Congresso di discutere e di definire.

La novità che proponiamo al Congresso di sperimentare è quella di indicare contemporaneamente delle azioni prioritarie su cui impegnare le Categorie e le Camere del Lavoro ad aprire vertenze, costruire iniziative di mobilitazione che accompagnino la nostra discussione nel rapporto con le delegate e i delegati, le attiviste e gli attivisti, le Leghe dello SPI anche in applicazione delle decisioni assunte alla nostra Assemblea Organizzativa.

L’impatto indotto dalla pandemia, e ora dalla guerra in Ucraina, sta creando nel Paese una vera e propria emergenza sociale.
I dati sull’occupazione delle donne, dei giovani e del Mezzogiorno, nella loro crudezza, sono una denuncia dell’emergenza sociale che viviamo.

Nel 2021 il tasso di occupazione femminile era al 49,4%; per le giovani donne (15-24 anni) al 13,5% mentre nella fascia 15-34 era del 34,8% e il 44,6% delle donne tra i 15 e i 64 anni era inattivo. In questi anni in Italia è inoltre aumentato il part time involontario che coinvolge quasi 3 milioni di persone (delle quali oltre i 2⁄3 sono donne) e con un tasso tra i più alti dell’Unione Europea (62,8% nel 2021).

Per i giovani il tasso di occupazione, nella fascia di età 15-24 anni, nel 2021 arrivava solo al 17,5% e il tasso di inattività al 75,1%, mentre nella fascia 15-34 anni il tasso di occupazione era al 41% e quello di inattività al 50,1%.
La fotografia del Mezzogiorno riduce tutti gli indicatori. È qui che si concentra il maggior numero di giovani che hanno smesso di cercare lavoro e di studiare e quelli che decidono di lasciare il nostro Paese.

Inoltre, i dati sulla ripresa economica realizzata nella fase di rallentamento della pandemia, rivelano che la crescita dell’occupazione dipendente interessa prevalentemente la componente a termine per oltre il 90%. Nel mese di marzo 2022 si registra il livello di occupazione precaria più alto dal 1977 (quasi 3,2 milioni di persone).

Molti dati ci dicono che la massa salariale del nostro Paese ha subito un vero e proprio crollo: nel 2020, rispetto al 2019, nell’UE cala del 2% mentre in Italia del 7,3%. Nel 2021, invece, mentre in Italia non si è ancora recuperato il livello della massa salariale del 2019 (-0,1%), nell’UE si registra un importante incremento del 3,7%. Ciò produce una drastica riduzione della domanda interna. L’aumento dei prezzi di beni e servizi fondamentali si riversano sui redditi più bassi, rischiando di ampliare le disuguaglianze e di far crescere la povertà.

Non si fanno da tempo politiche industriali nei settori strategici decisivi per il futuro del Paese. Le scelte ed i contenuti dell’azione di Governo, fino ad ora messe in campo, in assenza di un confronto strutturato con le organizzazioni sindacali, su salari, fisco, contrasto alla precarietà, politiche industriali, qualità dei servizi pubblici, non sono state in grado di rispondere a quella che è sempre più una vera emergenza sociale.

LE 5 AZIONI PRIORITARIE

Sono cinque le azioni prioritarie che proponiamo diventino vertenze diffuse per dare risposte adeguate alle lavoratrici, ai lavoratori, alle pensionate e ai pensionati che stanno subendo un netto peggioramento delle loro condizioni materiali.

AUMENTARE I SALARI E RIFORMARE IL FISCO

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La tutela e la crescita dei salari è obiettivo da perseguire nel rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali, con adeguati aumenti che vadano oltre l’inflazione, così come nella contrattazione di secondo livello agendo su tutti gli aspetti che riguardano i contenuti della prestazione lavorativa.
La richiesta forte al Governo è di assumere misure sul piano delle politiche fiscali, che aumentino il netto in busta paga e delle pensioni, e per realizzare una vera riforma fiscale come richiesto nella Piattaforma di CGIL CISL UIL.

Inoltre, è maturo il tempo di rivendicare al Governo un provvedimento legislativo che assegni valore “erga omnes” ai contratti nazionali firmati alle organizzazioni sindacali più rappresentative e in cui si misuri la rappresentanza di tutte le parti sociali e si garantisca il voto delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il salario minimo su cui è aperto il confronto con il Governo, sulla base del trattamento economico complessivo definito nei Contratti Nazionali, è uno strumento utile e positivo per superare il lavoro povero e le basse retribuzioni.

STOP ALLA PRECARIETÀ E RIDUZIONE DEGLI ORARI DI LAVORO

Vogliamo porre fine alla precarietà che penalizza in particolare giovani, donne, Mezzogiorno e che troppo spesso connota la condizione dei migranti, con azioni necessarie:

  •   Aprire vertenze nei luoghi di lavoro pubblici e privati in cui rivendicare percorsi di stabilizzazione per le lavoratrici ed i lavoratori con rapporti di lavoro precari;
  •   rivendicare nei confronti del Governo una nuova legislazione che superi il Jobs Act, per un nuovo Statuto dei Diritti per tutto il mondo del lavoro,
  •   chiedere di condizionare i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche erogate alle imprese collegandoli alla stabilità dell’occupazione.
  •   Rivendicare nei contratti nazionali la riduzione e la redistribuzione degli orari di lavoro finalizzate all’occupazione e ai tempi di vita e di lavoro, sviluppando contemporaneamente una coerente e conseguente contrattazione aziendale.
  •   Promuovere un provvedimento legislativo sulla riduzione e redistribuzione dei tempi di lavoro, per una nuova occupazione stabile, per il diritto alla formazione permanente, sostenendo così con l’azione legislativa quella contrattuale.

    IL FILO DELLA LEGALITÀ E LA SICUREZZA SUL LAVORO

    In questi anni illegalità diffusa, appalti, subappalti, esternalizzazioni, aumenti dei ritmi e carichi di lavoro hanno portato ad un peggioramento delle condizioni di lavoro e ad una conseguente crescita delle morti e degli infortuni.
    La lotta per la legalità e la sicurezza sul lavoro significa:

  •   unificare e collegare, con una grande iniziativa nazionale, tutte le attività territoriali e di Categoria contro le mafie, il caporalato, il lavoro nero e grigio e le infiltrazioni mafiose nell’economia sana dei territori
  •   lottare per estendere a tutto il sistema degli appalti e dei subappalti privati il rispetto e la applicazione dei Contratti nazionali e delle clausole sociali.
  •   Puntare su prevenzione, formazione, salute e sicurezza quali temi dirimenti e prioritari dell’azione sindacale.

    NUOVO STATO SOCIALE

    Bisogna chiudere la stagione dei tagli lineari e investire in un rinnovato sistema pubblico di protezione sociale.
    È il momento di costruire una vertenza di tutto il sindacato confederale, che rivendichi nuovi investimenti ed assunzioni non precarie, finalizzata a realizzare, quali punti irrinunciabili di un nuovo stato sociale universale:

  •   centralità del servizio sanitario pubblico e universalistico;
  •   diritto universale alla formazione e alla conoscenza;

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  •   legge nazionale per la non autosufficienza a politiche per l’invecchiamento attivo;
  •   politiche inclusive per le persone con disabilità;
  •   piena integrazione sociale e lavorativa per i cittadini migranti.

    L’assetto ereditato della “Riforma Fornero” ha costruito un sistema rigido e privo di solidarietà. Per questo è necessario dare seguito alle proposte contenute nella Piattaforma unitaria di CGIL CISL UIL finalizzate ad un cambiamento radicale dell’attuale assetto delle pensioni. Si tratta, infatti, di ricostruire un sistema previdenziale pubblico, solidaristico ed equo, che unifichi le generazioni e le diverse condizioni lavorative.

    POLITICHE DI SVILUPPO E NUOVO INTERVENTO PUBBLICO

    È in gioco il futuro industriale del nostro Paese e con esso la quantità e la qualità del lavoro e della nostra società.
    Il Congresso pertanto è chiamato a discutere, a partire dalle Categorie industriali e dei servizi, come sostenere con iniziative e mobilitazioni comuni e generali gli obiettivi di seguito indicati.

    Le grandi transizioni – ambientale, tecnologica, demografica – richiedono un cambiamento profondo degli indirizzi di politica economica e sociale. Servono politiche del lavoro, investimenti nel trasposto pubblico e nella mobilità sostenibile, nelle infrastrutture materiali e immateriali, nelle fonti rinnovabili, nell’agricoltura biologica, nel risanamento del territorio e delle aree urbane, nella cultura e nel turismo, nella logistica. Ciò è decisivo per superare i ritardi tra Nord e Sud. L’Italia non supera le sue fragilità e la sua crisi se non affronta con investimenti, nuove politiche industriali e servizi pubblici di qualità, la condizione di disagio diffuso nel Mezzogiorno. Per recuperare i divari territoriali e di sviluppo è necessario riqualificare e recuperare le grandi periferie urbane, le aree interne e quelle colpite dal sisma.

    La contrattazione per lo sviluppo rappresenta lo strumento per negoziare le condizioni di lavoro dignitoso e rispondere ai bisogni di oggi e a quelli delle future generazioni.
    Le tecnologie digitali possono consentire una diversa organizzazione del lavoro fondata sull’autonomia, il protagonismo e l’intelligenza delle lavoratrici e dei lavoratori. Se guidate dalla logica del profitto producono solo nuove divisioni, ripetitività e appiattimento delle mansioni, lavoro precario, maggior controllo sui tempi di lavoro e quelli di vita. La transizione tecnologica rappresenta un campo importante per l’iniziativa sindacale. “Contrattare l’algoritmo”, che non è neutrale, è la condizione per orientare l’innovazione digitale verso la qualità del lavoro e verso obiettivi sociali.

    È il momento quindi per cambiare le politiche economiche, sociali, industriali del Paese. C’è bisogno di un nuovo e autorevole intervento pubblico. Per questo proponiamo la costituzione di un’Agenzia per lo Sviluppo che, a partire dal Mezzogiorno e dall’obiettivo di superare i divari territoriali, definisca le priorità, costruisca e qualifichi filiere produttive, contribuisca ad aprire nuove opportunità per investimenti pubblici e privati, nei settori strategici per il futuro del Paese, e coordini gli indirizzi delle grandi aziende pubbliche, per affrontare i grandi temi oggi sul tappeto. Giusta transizione, innovazione digitale, riconversioni industriali devono essere accompagnati da piani e strumenti che garantiscano tutela sociale, riqualificazione e formazione per le lavoratrici ed i lavoratori coinvolti nei processi di riconversione. Per questo proponiamo si istituisca un Fondo nazionale che accompagni e sostenga le transizioni e le riconversioni industriali. Il Fondo dovrà prevedere investimenti di sostegno al reddito, di formazione, di aggiornamento delle competenze per le lavoratrici ed i lavoratori, con l’obiettivo di “non lasciare indietro nessuno e di garantire l’occupazione”.

    COMPITI DEL CONGRESSO

    Il Congresso è chiamato ad attuare le decisioni assunte all’Assemblea Organizzativa su temi fondamentali per il futuro del sindacato confederale: il rapporto con i giovani, le strategie per incrementare gli iscritti, il rapporto e la presa in carico dei loro bisogni, il ruolo centrale del territorio e delle Camere del Lavoro, la piena inclusione e rappresentanza dei lavoratori e delle

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lavoratrici migranti nel sindacato, la partecipazione ed il necessario protagonismo delle delegate e dei delegati, delle attiviste e degli attivisti e delle Leghe dello SPI, il processo di digitalizzazione per rinnovare ed integrare il nostro modello organizzativo ed il modo di comunicare, la centralità della formazione. Di particolare rilievo, da questo punto di vista, sarà la verifica di come abbiamo fatto vivere dentro e fuori di noi il tema delle politiche di genere. Si tratta non solo di verificare quanto si è fatto e di attuare quanto previsto dalle norme statutarie ma di agire per incidere sui nostri modi di lavorare e di discutere; come e quanto il tema della differenza di genere diviene contenuto condiviso nelle piattaforme contrattuali, tenendo presente che proprio il movimento e l’elaborazione delle donne ha dato un contributo importante alla critica dell’attuale modello di crescita, alla conseguente necessità di una nuova organizzazione del rapporto tra i tempi di lavoro e quelli di vita, al diritto alla condivisione del lavoro di cura con l’estensione dei congedi di paternità, alla necessità di uno stato sociale universale in grado di dare risposte efficaci.

È necessario che la CGIL continui nel suo impegno teso a prevenire e contrastare ogni forma di violenza e di discriminazione nei confronti delle donne e di tutte le soggettività lgbtqi+, rivendicando il diritto all’autodeterminazione e contrastando la cultura patriarcale e l’idea del possesso, per difendere i diritti di tutte e tutti.

A tale finalità sarà necessario mettere al centro dell’azione contrattuale e sociale il tema della dignità, della libertà, dei diritti, del lavoro e delle ingiuste disparità; consolidare i percorsi per la difesa e la conquista dei diritti sociali; favorire la cultura del rispetto, anche facendoci promotori di iniziative specifiche.

Inoltre, il Congresso rappresenta l’occasione per approfondire l’elaborazione programmatica e la declinazione del nuovo modello di sviluppo, per dare seguito ad un confronto già avviato da tempo con soggetti, portatori di istanze collettive, che vogliono insieme a noi essere protagonisti di un cambiamento profondo della società, fondato sui diritti, sulle libertà e sulla pace.

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DEMOCRAZIA, LIBERTÀ E CONTRATTAZIONE

1) La contrattazione come strumento di democrazia e libertà, ricomposizione del mondo del lavoro e di rinegoziazione dei poteri nei luoghi di lavoro e nei territori.

Difesa, centralità e valorizzazione del CCNL come fondamentale strumento di tutela universale e di rappresentanza collettiva che unisce e include.

La contrattazione collettiva, in tutte le sue declinazioni, è strumento fondamentale per la realizza- zione degli obiettivi strategici della nostra organizzazione. Ad essa affidiamo la funzione di redi- stribuzione della ricchezza e il compito sempre più complesso di ricomposizione del mondo del la- voro. A fronte dell’estrema frammentazione dei cicli produttivi e dei processi di lavoro, la contratta- zione deve ricomporre i legami dentro il mondo del lavoro, deve garantirne un governo unitario, deve essere un argine ai fenomeni di ricatto a cui la parte più debole è quotidianamente esposta. In questo senso, lo strumento della contrattazione deve agire costantemente per consentire alle lavora- trici e ai lavoratori di ridefinire gli equilibri di potere nei luoghi di lavoro in un processo che rafforzi la democrazia e la libertà tra le persone, che migliori le condizioni di lavoro e ampli gli spazi di par- tecipazione.

Il contratto collettivo nazionale rimane il perno attorno a cui ruota questo complesso processo di ri- composizione: è insieme autorità salariale e leva per l’inclusione dei soggetti più deboli, garanzia di legalità e di valorizzazione della crescita professionale, conquista di un’identità collettiva e tutela di diritti individuali. La nuova stagione contrattuale, punterà, innanzitutto, a incrementi salariali che ri- spondano alla crescita dell’inflazione reale; nonché a rafforzare il tratto di inclusività sul versante delle diverse tipologie contrattuali, per superare la precarietà e le discriminazioni di genere e gene- razionali.

Dobbiamo perseguire l’obiettivo di una decisa riduzione del numero dei CCNL. Per realizzare ciò serve sia un lavoro di coordinamento confederale delle politiche negoziali in funzione di un possibi- le superamento delle sovrapposizioni dei perimetri contrattuali, affermando il principio del Ccnl di riferimento e di miglior favore in termini salariali e normativi e rendere vincolante la modalità di confronto fra le Categorie e la Confederazione in relazione all’ampliamento delle sfere di applica- zione o nel caso di attribuzione di nuovi settori, sia un provvedimento legislativo di sostegno all’esercizio della contrattazione collettiva, che assegni validità generale ai contenuti dei Contratti Nazionali, certifichi la rappresentanza delle parti che li stipulano. È necessario valorizzare nella bi- lateralità la funzione d’inclusione, di gestione delle tutele che vengono attribuite dalla contrattazio- ne e/o dalle norme, rafforzandone la funzionalità e la trasparenza anche attraverso la verifica della loro governance.

Elezione ed estensione delle rappresentanze sindacali in tutti i luoghi di lavoro.

Per dare più forza alla rappresentanza e alla democrazia nei luoghi di lavoro, diviene strategico un impegno straordinario dell’organizzazione affinché si promuova un processo di elezione delle RSU in tutti i luoghi di lavoro con almeno quindici dipendenti, sperimentando anche forme di rappresen- tanza a livello territoriale, di zona o bacino elette dalle lavoratrici e lavoratori, dipendenti di aziende con meno di 15 addetti. Per la CGIL, in ogni caso, la nomina delle RSA dovrà avvenire attraverso la modalità elettiva.

Solo attraverso un investimento straordinario sulla partecipazione e la democrazia nei luoghi di la- voro è possibile dare un ulteriore impulso all’estensione della contrattazione integrativa nelle realtà in cui non è presente, e al rafforzamento della stessa nelle realtà in cui è ancora troppo debole.

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Dobbiamo migliorare le condizioni di lavoro delle persone conquistando il diritto alla contrattazio- ne dell’organizzazione del lavoro e del tempo di lavoro, per mettere in discussione gli attuali equi- libri di potere e nella continua ricerca di spazi di libertà nell’ambito della prestazione.

I contratti collettivi nazionali di lavoro dovranno contenere al loro interno le norme per la validazio- ne degli accordi e delle piattaforme.

La contrattazione territoriale – sociale e per lo sviluppo – come strumento di sicurezza sociale, sviluppo sostenibile e di creazione di occupazione. Le alleanze sociali nel territorio come motore di trasformazione e di negoziazione.

La contrattazione territoriale, anche alla luce degli investimenti del Piano di ripresa e resilienza e dei fondi strutturali europei, rappresenta l’obiettivo strategico per determinare le condizioni della sostenibilità sociale, economica e ambientale e per creare nuova occupazione, anche oltre i confini del mercato e, in particolare, nei beni comuni e nell’innovazione sociale, in continuità e connessione con le vertenze nazionali. La Cgil, a partire dal Mezzogiorno, deve raccogliere la domanda di partecipazione oltre i confini tradizionali della rappresentanza sindacale e del rapporto con Cisl e Uil e le associazioni datoriali, con le associazioni del territorio e la società civile organizzata per il confronto sugli obiettivi, la definizione concordata delle priorità e dei progetti, le eventuali campagne di sensibilizzazione e mobilitazione necessarie, il monitoraggio dei risultati e momenti congiunti e istituzionalizzati di consultazione e verifica.

La contrattazione territoriale sociale, raccordandosi con la contrattazione aziendale, deve integrare i diritti del lavoro e di cittadinanza e rappresenta uno dei pilastri della nostra azione per la diffusione di un sistema dei diritti omogeneo in tutto il Paese. A partite dai coordinamenti confederali, va dato seguito a quanto deciso all’ultima Assemblea d’organizzazione in merito alla contrattazione sociale territoriale, facendola diventare un’azione contrattuale confederale estesa ed inclusiva che si affianca alla contrattazione di categoria per dare riposte concrete sia ai diritti del lavoro che a quelli e di cittadinanza.

La contrattazione territoriale per lo sviluppo deve tradurre nel territorio i “piani” economici per la crescita, l’occupazione e lo sviluppo. In questo ambito, infatti, risiedono i momenti di programmazione negoziata delle risorse – comprese quelle connesse ai fondi comunitari e del Pnrr – dedicate agli investimenti, pubblici e privati. Le filiere di intervento da potenziare sono la digitalizzazione, green economy e l’economia circolare e la rigenerazione urbana (riassetto idrogeologico e manutenzione del territorio, edilizia sostenibile, prevenzione antisismica e messa in sicurezza, bonifiche, protezione del paesaggio e delle coste), oltre che salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale, integrazione socio-lavorativa cittadini migranti, formazione, politiche industriali territoriali e il sistema degli appalti di servizi.

Una programmazione negoziata che passa attraverso una forte capacità di interlocuzione, anche vertenziale, con le istituzioni pubbliche in grado di orientare secondo una logica complementare gli strumenti finanziari a disposizione di co-programmare gli interventi in modo integrato a livello territoriale, di sostenere meccanismi attuativi efficaci.

2) Tempi, salari e formazione: i pilastri della contrattazione.

I tempi di vita e di lavoro e gli orari: contrattare e co-determinare tempi e organizzazione del lavoro
La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è sempre più un obiettivo strategico per il movimento sindacale. Il salto tecnologico determinato dalla digitalizzazione e il cambio di paradigma ambientale comportano mutamenti profondi nel lavoro e una riduzione della manodopera necessaria per produrre la stessa ricchezza e perciò rendono ancora più necessario riconoscere il valore del lavoro anche in termini di tempo e la sua redistribuzione. Per raggiungere questo obiettivo serve una legislazione di sostegno, insieme ad un coordinamento delle politiche

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contrattuali anche a livello europeo. In un mercato del lavoro polarizzato l’obiettivo della riduzione strutturale degli orari di lavoro deve essere accompagnato dal contrasto al part-time involontario e al lavoro fortemente discontinuo.
La richiesta di riduzione degli orari di lavoro a fronte dell’aumento del numero dei turni per un maggiore utilizzo degli impianti o per rispondere alle esigenze di flessibilità della produzione e/o del servizio deve essere strategia contrattuale sempre più estesa. A queste esigenze delle imprese va fatto corrispondere la crescita dell’occupazione e riconoscimenti nei salari. Proponiamo un provvedimento legislativo che sostenga la redistribuzione e riduzione dei tempi e degli orari di lavoro e il diritto alla formazione permanente per una nuova occupazione stabile.

Salari: superare l’Ipca depurato dai beni energetici. Salario minimo e valore erga omnes dei contratti.
La crescita dell’inflazione, ha definitivamente superato il parametro dell’IPCA depurato dei beni energetici come riferimento del recupero del potere di acquisto nei CCNL. Non riconoscere questo cambiamento significherebbe programmare la riduzione strutturale dei salari, già fra i più bassi di Europa. Le piattaforme per il rinnovo dei CCNL in scadenza dovranno porsi l’obiettivo della crescita del complesso delle retribuzioni, a partire dal riconoscimento dell’inflazione effettiva, per

tutelare il potere di acquisto, cui aggiungere gli altri indicatori che la contrattazione individuerà. Nella contrattazione di secondo livello elementi quali la qualità e la produttività acquisiti dovranno essere riconosciuti anche attraverso il consolidamento di quote del salario variabile; in ogni caso va affrontato il tema di una maggiore redistribuzione collettiva della massa salariale tra le lavoratrici e i lavoratori, anche a termine, e contrastata una gestione unilaterale di quote crescenti di salario individuale discrezionale.
La proposta avanzata dal Ministero del Lavoro di rispondere alla Direttiva europea del salario minimo prendendo a riferimento il trattamento economico complessivo definito dal CCNL del settore firmato dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative è condivisibile. Il nostro obiettivo è di dare attuazione alla Costituzione e attribuire la validità erga omnes dei contratti nella loro interezza, a partire dal tema del salario.

Dalle 150 ore al diritto soggettivo ed universale alla formazione permanente e alla conoscenza per contrastare l’esclusione nel lavoro e nella cittadinanza.
La formazione continua e la formazione permanente devono essere riconosciute come diritto soggettivo ed universale. È necessaria un’ottica di sistema, attraverso tre scelte strategiche: centralità del sistema pubblico di istruzione degli adulti; coerenza con le politiche del sistema di istruzione; politiche di sostegno all’esercizio del diritto al mantenimento e all’elevamento dei propri

livelli di istruzione.
Un sistema di istruzione e formazione altamente qualificato e inclusivo, capace di innalzare il livello di conoscenza e competenza dei cittadini di ogni età e di ogni territorio, è il principale strumento per contrastare le disuguaglianze e partecipare attivamente al mercato del lavoro senza subirne i cambiamenti.
La contrattazione svolge per queste finalità, che i Fondi Interprofessionali e la bilateralità contrattuale devono sostenere ed accompagnare, un ruolo decisivo. Particolare attenzione va posta anche ai rapporti di lavoro precari e ai settori in cui sono prevalenti i rapporti di lavoro stagionali, discontinui o part-time al fine di garantire, anche in questi contesti, il diritto alla formazione e la sua certificabilità.
Va sostenuto il diritto soggettivo alla formazione continua in orario di lavoro, anche con metodologie quali la FAD nelle sue diverse modalità. Per raggiungere questi obiettivi gli strumenti da agire, oltre la contrattazione collettiva, sono:

 Fondo Nuove Competenze, da riqualificare per sostenere l’aggiornamento degli occupati finalizzato a rispondere alle sfide della transizione digitale ed ecologica.

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  •   Reddito di Formazione, per sostenere il diritto allo studio e all’apprendimento per tutto l’arco della vita.
  •   Sistema Nazionale integrato di apprendimento permanente, con Governance pubblica di livello nazionale e territoriale.
  •   CPIA, quale soggetto pubblico di riferimento per l’apprendimento degli adulti chiamato a operare in stretto raccordo con i Centri per l’Impiego con la finalità di costituire reti territoriali per l’apprendimento permanente.
  •   Un nuovo sistema di Orientamento, riconosciuto come politica strategica da incardinare nell’ordinamento scolastico e che sia anche capace di leggere e analizzare i processi di innovazione dei sistemi produttivi.
  •   Collocazione dell’apprendistato di “Primo livello” dopo l’assolvimento dell’obbligo di istruzione.

    3) Contrattare e governare le innovazioni, il salto tecnologico e la transizione ambientale.

    L’azione contrattuale, sia sul versante nazionale che aziendale, è intervenuta nella regolazione del lavoro agile. Occorre assicurare continuità e strutturalità a tale modalità di resa della prestazione lavorativa in un’ottica d’intervento nella organizzazione del lavoro.
    Il lavoro su piattaforme digitali sta avendo un rapido e intenso sviluppo; è necessario quindi prevedere negli accordi collettivi un diritto di informazione e di consultazione in capo ai rappresentanti di lavoratrici e lavoratori. In sede di CCNL andrebbero previsti, in aggiunta a quanto già convenuto, diritti di informazione obbligatoria e consultazione su: piani di investimento specifici di innovazione tecnologica; custodia, utilizzo e valorizzazione dei dati raccolti in occasione della prestazione lavorativa (tipologia del dato raccolto, modalità di raccolta, utilizzo, archiviazione, tempi di cancellazione ecc.). Il progresso tecnologico digitale ha un impatto sull’organizzazione del lavoro: la contrattazione deve agire al fine di consentire di regolare il mercato del lavoro, i percorsi di istruzione e di formazione continua e i sistemi di protezione sociale per garantire che la transizione digitale non produca svantaggi per i lavoratori.

    La contrattazione può anticipare i processi di riconversione ecologica anche riducendo i costi di produzione (es. efficienza energetica, autoproduzione di energie rinnovabili, comunità energetiche, economia circolare, utilizzo di materie prime seconde, ecc.), per ridurre gli impatti climatici e ambientali (mobilità sostenibile, decarbonizzazione, servizi mensa sostenibili, uso efficiente di materie ed energia, ecc.) e per garantire continuità occupazionale sul territorio (nuove filiere strategiche, innovazione di processo e di prodotto). Altri temi per la contrattazione sono: la formazione permanente e la riqualificazione professionale verso le nuove competenze, le misure di adattamento al cambiamento climatico anche per fronteggiare il peggioramento delle condizioni di lavoro dovute all’innalzamento delle temperature.

    Infine il salto tecnologico e la digitalizzazione interrogano anche il nostro sistema dei servizi e tutele. È necessario non subirne gli effetti ma porsi come interlocutore/attore di questi processi sia nel rapporto e nella negoziazione con i soggetti istituzionali che nei confronti degli iscritti. Ai vecchi bisogni se ne aggiungono di nuovi: ciò significa innovare e implementare il sistema dei servizi per rispondere efficacemente anche attraverso processi strutturali di formazione.

    4) Il nuovo contratto sociale: democrazia, libertà, partecipazione

    Ruolo del sindacato nelle trasformazioni: la negoziazione delle politiche pubbliche. Istituzionalizzare a tutti i livelli il ruolo del sindacato nella negoziazione e contrattazione. Durante la fase acuta della pandemia, l’azione sindacale ha saputo mettere in campo strumenti importanti di negoziazione e di tutela del lavoro: dai protocolli sicurezza, agli accordi sul blocco dei

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licenziamenti e antecedentemente l’accordo sul terreno fiscale. Quel modello negoziale deve essere preso a riferimento per affrontare le sfide del salto tecnologico, della transizione ambientale e demografica e dell’aggravarsi delle polarizzazioni e delle disuguaglianze.
Serve un cambio di paradigma che si basi su di un nuovo contratto sociale con un forte riconoscimento della funzione negoziale e contrattuale nell’ambito delle politiche pubbliche.

Tale riconoscimento è ancora più importante alla luce delle risorse di Next generation EU e dei fondi strutturali a tutti i livelli: in questo senso il Protocollo sottoscritto il 23 dicembre scorso e l’accordo di Partenariato che avvia il nuovo ciclo di programmazione, rappresentano un primo importante passo. Occorre però che tale funzione sia garantita, regolamentata e negoziata attraverso un Protocollo anche negli ambiti e per le scelte ordinarie di decisione dei processi di innovazione economica, sociale, tecnologica, e di riconversione ecologica, sia a livello territoriale che a livello nazionale in un quadro di regole chiare e condivise, non limitando l’autonomia del sindacato né l’esercizio del conflitto che rimane strumento fondamentale di mobilitazione dei lavoratori.

Inoltre l’innovazione, i processi di transizione, la trasformazione del modello produttivo passano anche da scelte che faranno tutte le imprese, e soprattutto quelle che in questa fase hanno un ruolo strategico. A partire dal vasto sistema delle società a controllo pubblico, appare incomprensibile l’assoluta resistenza al coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori a processi che avranno un impatto enorme non solo sul personale di quei settori, ma su tutte le comunità. Per tali ragioni il tema della partecipazione alle decisioni, così come previsto dall’articolo 46 della Costituzione, acquista una rilevanza straordinaria per il mondo del lavoro che rappresentiamo. Il governo del cambiamento, in quest’ottica, passa anche dal prevedere e anticipare i contraccolpi sociali che derivano da scelte spesso necessarie, dal contribuire all’indirizzo delle attività delle imprese verso modelli sostenibili che tutelino le persone e l’ambiente.

Legge sulla rappresentanza, democrazia e partecipazione.

Incrementare gli spazi di democrazia e di partecipazione del mondo del lavoro è stata sempre una priorità per il nostro sindacato, un risultato spesso conquistato attraverso dure lotte che hanno portato a straordinari obiettivi negoziali sia sul versante dei Contratti nazionali, sia della contrattazione di secondo livello, sia sul versante degli Accordi confederali. È una strategia da portare avanti anche introducendo elementi di innovazione contrattuale: si tratta innanzitutto di rafforzare il diritto all’informazione preventiva sui cambiamenti, sugli investimenti, sui processi di ristrutturazione, sulle innovazioni nelle organizzazioni del lavoro; e al tempo stesso di individuare degli spazi di co-determinazione nei quali le lavoratrici e i lavoratori (attraverso le loro rappresentanze) abbiano il diritto di incidere su questi processi e sulle scelte strategiche.

È evidente che l’assenza di chiari riferimenti legislativi in applicazione di diversi principi costituzionali non abbia favorito l’ingresso della Costituzione nei luoghi di lavoro e, anzi, abbia incentivato le peggiori culture autoritarie e paternaliste del sistema imprenditoriale. In alcuni casi queste stesse culture hanno spacciato la partecipazione agli utili come un modello inclusivo, immediatamente contraddetto dall’avversione a forme di consultazione. Anche per queste ragioni, un quadro legislativo, come da noi proposto nell’ambito della Carta dei diritti universali del lavoro, in grado di fissare regole per la certificazione della rappresentatività, anche dei datori di lavoro, nonché di rafforzare il diritto all’informazione e il diritto alla partecipazione alle decisioni rappresenta ancor di più oggi una priorità del movimento sindacale.

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LAVORO E CONTRASTO ALLA PRECARIETA’ 1) Contrasto alla precarietà e allo sfruttamento

Il lavoro fondato sulla Costituzione.

Dare piena attuazione del dettato costituzionale significa mettere il diritto al lavoro, dignitoso e stabile, al centro delle scelte politiche del Paese. Significa contrastare, per via legislativa e contrattuale, la precarietà e liberare il lavoro dal ricatto e dallo sfruttamento, intervenire sulla riduzione delle tipologie, estendere le tutele ai lavoratori autonomi e subordinati, investire su accoglienza e integrazione dei cittadini migranti in termini di politiche strutturali e non inseguendo la logica della emergenza, favorire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, rafforzare l’intervento sulle politiche attive e sulla formazione permanente dentro le transizioni e le discontinuità lavorative. Precondizione di questi interventi sono gli investimenti, che devono essere orientati alla piena occupazione e il contrasto alla economia irregolare e al sommerso che sono il vero cancro della nostra società. Un mercato del lavoro più regolato e meno precario sono le prime risposte ai divari di genere e generazionali che devono essere superati. Come proposto con la Carta dei diritti devono essere individuati quei diritti universali che devono essere garantiti indipendentemente dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro.

Ridurre le tipologie contrattuali e limitare utilizzo di contratti a termine e forme precarie.

Occorre abolire contratto a chiamata e le forme prive di contribuzione come le collaborazioni autonome occasionali, eliminare le clausole elastiche e flessibili dei part time in assenza di contrattazione collettiva, inserire la causale all’inizio dei contratti a termine che devono comunque essere ridotti per possibilità di utilizzo e durata, rendere impossibile l’utilizzo di nuovi contratti a termine in caso di reiterazione nei contratti sulla stessa mansione o di mancata stabilizzazione di una quota percentuale di quelli in essere. Il vincolo alla stabilizzazione va perseguito anche contrattualmente e devono essere rafforzate le tutele del part time verticale.

Proponiamo di introdurre un contratto unico di ingresso a contenuto formativo con finalità di stabilità e di rafforzare la componente formativa dell’apprendistato. Queste due modalità che potranno variare per durata massima, platee di riferimento ed entità del tempo dedicato alla formazione sono incentivate e devono essere privilegiate in tutti gli inserimenti, reinserimenti nel mercato del lavoro.

Il lavoro autonomo non può essere utilizzato come strumento di dumping sul costo del lavoro. E’ necessario introdurre l’equo compenso delle partite IVA, ordinistiche e non e intervenire su collaborazioni etero-organizzate eliminando o limitando le possibilità di deroghe.
È necessario rafforzare il ruolo sindacale nella tutela, rappresentanza e presa in carico dei lavoratori disoccupati o in transizione rafforzando il nostro intervento e la nostra azione contrattuale di categoria, anche attraverso la bilateralità, e confederale attraverso il rafforzamento di Sol nelle politiche attive del lavoro, in particolare nell’orientamento al lavoro, alla formazione e alla riqualificazione. Per garantire ai lavoratori disabili il diritto al lavoro sia in ambito privato che pubblico riteniamo importante definire un piano per occupazione e assicurare garanzia di rispetto delle norme su inclusione lavorativa.

Apprendimento in contesto lavorativo.

È necessario eliminare l’obbligatorietà dei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) e la precisa quantificazione delle ore restituendo alle scuole l’autonomia di progettare, sulla base di obiettivi ed esigenze coerenti con il curriculo, esperienze formative di qualità in alternanza scuola lavoro (ora PCTO), assicurando che ci sia da parte dei soggetti ospitanti il rispetto delle relative norme di sicurezza e in questa ottica devono anche essere eliminati i PCTO quale requisito

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di accesso agli esami di stato. Inoltre occorre ricondurre i tirocini extracurriculari alla propria attività formativa e riducendone campo di utilizzo.

2) Ricostruzione delle filiere dei diritti fondamentali, della solidarietà e della legalità.

Appalti e processo di reinternalizzazione; estensione ai settori privati delle tutele/garanzie/clausole sociali previste negli appalti pubblici.
Occorre rivendicare il principio “stesso lavoro, stessi diritti, stesso salario” attraverso la pratica contrattuale, contrastando la competizione al ribasso dei salari e dei diritti e affermando il

principio del Ccnl di riferimento e di miglior favore in termini salariali e normativi.

Per rafforzare l’obiettivo di contrastare la frammentazione del lavoro è prima di tutto necessario dare rappresentanza piena alle diverse forme di lavoro e di appalti presenti nei siti. Va attuato subito quanto definito dall’Assemblea di organizzazione sui coordinamenti di delegati eletti dai lavoratori di sito e di filiera, vanno eletti gli RLS o RLST e vanno introdotti nel Contratti nazionali strumenti che riconoscano e sostengano questo percorso, a partire dai diritti sindacali e di informazione che sono la base su cui costruire piattaforme con obiettivi condivisi.

Affinché i processi di esternalizzazione non rappresentino lo strumento per esercitare una competitività basata sulla contrazione dei costi e dei diritti, occorre affermare il valore del lavoro in tutta la filiera degli appalti e sostenere processi di reinternalizzazione. Le misure a tutela del lavoro, della sicurezza del contrasto al lavoro irregolare, l’obbligo della clausola sociale nei cambi di appalto per garantire i livelli occupazionali, l’obbligo di applicazione dei Ccnl in relazione alle attività dell’appalto svolte in modo prevalente, la parità del trattamento economico e normativa tra lavoratori in appalto e subappalto, il principio della congruità, difesi e ottenuti nel codice dei contratti pubblici vanno estesi a tutti i settori, anche nel privato.

Legalità come precondizione della dignità del lavoro e dello sviluppo (caporalato e sfruttamento lavoro nero e grigio, false cooperative, contrasto alle mafie)
Il contrasto alla precarietà e ad ogni forma di sfruttamento in ambito lavorativo rappresenta una battaglia per l’affermazione della legalità e contribuisce ad arginare il potere criminale che

rappresenta il principale freno allo sviluppo. Pertanto occorre:
 favorire il confronto sistematico tra istituzioni e organizzazioni sindacali per il controllo

legale della spesa relativa agli investimenti pubblici;
 costruire/rafforzare sul territorio la rete di alleanze sociali che, collaborando con le forze

istituzionali di controllo e repressione della criminalità organizzata, rafforzi il presidio

legale, trasparente e democratico;
 rafforzare la nostra azione di tutela sindacale e giudiziaria, anche attraverso la costituzione

parte civile, in tutte le occasioni in cui i diritti sociali sono negati e la vita democratica è

compromessa dalla presenza mafiosa;
 aprire tavoli, dal livello nazionale a quelli territoriali, per contrasto a lavoro sommerso,

caporalato sfruttamento, infiltrazioni malavita nella economia;
 Proporre norme legislative a contrasto della falsa cooperazione e introdurre selettività degli

incentivi pubblici;
 GeneralizzareilDurcdiCongruitàintuttiisettoriprivati,controogniformadilavoronero

e grigio.

Salute e sicurezza

Oltre a rafforzare la contrattazione di sito e di filiera a partire dai temi della salute e sicurezza, eleggere gli RLS di sito – individuando e negoziando le specifiche agibilità- ed estendere gli RLST, condizionare gli investimenti – soprattutto quelli pubblici – a interventi per la sicurezza, bisogna

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rendere strutturali comitati nati per affrontare la pandemia come luogo di confronto e di assunzione di decisioni fra azienda e Rsu/Rsa e Rls, a tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Occorre dar vita a una campagna straordinaria di formazione rivolta ai responsabili aziendali, ai delegati e ai lavoratori presenti nel sito, che tenga conto dei rischi specifici e anche a fronte dei mutamenti tecnologici in corso e prevedere la formazione sulla sicurezza al momento dell’assunzione o con qualunque rapporto di lavoro. Inoltre è necessario rafforzare con risorse adeguate, sia per il personale che per le strutture materiali, la medicina del lavoro sul territorio, le attività di prevenzione e controllo, con un impegno condiviso INL/ASL.Va istituita una unica banca dati fra INAIL e INPS e gli altri soggetti interessati da mettere a disposizione di ispezioni e verifiche.

E’ necessario attivare una campagna nazionale e territoriale su salute e sicurezza, a partire da specifiche piattaforme sulla prevenzione, attuare la Patente a Punti e introdurre l’aggravante in caso di colpa per morti sul lavoro.

NUOVO MODELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE E POLITICHE PUBBLICHE PER LA PIENA OCCUPAZIONE.

1) La riconversione ecologica e digitale e dei sistemi produttivi: governo pubblico e strumenti della nuova politica industriale

Ruolo dello Stato e del sistema pubblico.

La riconversione ecologica sostenibilità e gli effetti della guerra porteranno con sé i segni di una nuova divisione internazionale del lavoro. Il rischio è una nuova polarizzazione, anche in conseguenza della de-globalizzazione. È un orizzonte da evitare perché porterebbe al fallimento della sfida climatica che è di fronte al pianeta. Il conflitto in Ucraina determina inoltre un diverso assetto della logistica, delle tecnologie e delle infrastrutture necessarie. Bisognerà, dunque ripensare al modello del paese e coniugare in modo nuovo le scelte di breve e di medio periodo. Si apre, dunque, una fase di ripensamento non solo del modello di sviluppo ma delle stesse caratteristiche di cui sarà portatore e degli obiettivi che dovremo sapere raggiungere di fronte a questi grandi cambiamenti.

Per queste ragioni, lo Stato deve tornare ad occuparsi in maniera diretta e con nuovi strumenti regolatori del mercato. Il sistema pubblico dovrà essere, nelle funzioni strategiche del paese, il perno attorno a cui si rafforza il posizionamento competitivo del Paese. Inoltre occorre coordinare le politiche governate dalle amministrazioni centrali con quelle di specifica competenza delle istituzioni territoriali: soprattutto al Sud la trasformazione e innovazione dei sistemi produttivi in chiave sostenibile dovrà partire dagli indirizzi di specializzazione intelligente sostenuti dalle politiche di coesione, strutturalmente basate su approcci dal basso verso l’alto, che valorizzano cioè le vocazioni territoriali e di filiera.

Nuove politiche industriali e di indirizzo e sostegno a processi di re-industrializzazione e di ri- localizzazione delle produzioni.
Servono nuove politiche industriali e di sviluppo in Italia e in Europa e serve una Agenzia per lo sviluppo con un forte coordinamento dei diversi attori istituzionali per generare e ricostruire le filiere produttive, indicando le priorità e determinando le necessarie sinergie con il sistema della ricerca e il sistema produttivo e che sia dotata di un Fondo speciale per le transizioni. È necessario

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una sinergia delle grandi aziende pubbliche e/o partecipate affinché finalizzino e orientino gli investimenti nel nostro paese nelle filiere innovative.
E’ necessario rafforzare l’intersettorialità tra le filiere e assumere l’economia circolare come nuovo modello di produzione e di consumo finalizzato alla “condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti”, oltre ad aggredire il nanismo, la sottocapitalizzazione, la scarsa propensione agli investimenti in innovazione, sostenibilità e qualità del vasto tessuto di piccole e piccolissime imprese che caratterizzano il nostro Paese, molto di più che nel resto dell’Europa.

Anche l’Unione Europea deve fare un salto di qualità e passare dalla strategia delle alleanze (batterie, idrogeno) a una strutturata programmazione e coordinamento finalizzato alla costruzione di un sistema di politiche industriali. I poteri sin qui esercitati – esclusivi nella regolazione della concorrenza ad esempio per antitrust e commercio, sono troppo condizionati da una visione mercatista piuttosto che sistemica. A questo proposito il DDL Concorrenza sembra ripercorrere questa strada estendendola anche ai servizi pubblici locali e tentando uno stravolgimento del loro modello così come si sono sviluppati nel nostro paese. Il ruolo della conoscenza e della scienza è e sarà centrale nelle grandi trasformazioni, come lo è stata nel contrasto alla pandemia. Per questo chiediamo una seria revisione della normativa sulla proprietà intellettuale e del rapporto tra ricerca pubblica e mercato in particolare nei settori strategici e fondamentali. L’Unione Europea deve rafforzare i processi di condivisione delle strutture di ricerca per arrivare a costruire una agenzia europea per la scienza.

Il Mezzogiorno è l’area nella quale rischiano di scaricarsi le contraddizioni delle transizioni e della progressiva desertificazione. Infatti, in virtù della presenza storica di filiere originate dalla “economia fossile”, rischia di divenire il luogo delle dismissioni e delle delocalizzazioni. La transizione, dunque, è un processo che in particolare nel Mezzogiorno dovrà prevedere una massiccia mole di investimenti, pubblici e privati. Al tempo stesso, proprio per ragioni climatiche, il Mezzogiorno deve diventare l’area in cui prevedere la parte più importante degli investimenti nelle energie rinnovabili.

Una politica di contrasto alle delocalizzazioni, nel Mezzogiorno e nel resto del paese, deve fare leva su strumenti, di filiera e territoriali, in grado rinnovare le ragioni di importanti presenze, senza le quali si rischia di perdere le pre-condizioni di un paese industriale e manifatturiero.

Razionalizzazione e potenziamento degli strumenti per crisi aziendali e aree di crisi

Va superato il ruolo meramente amministrativo burocratico del Mise e di Invitalia, introducendo strumenti di politica industriale in stretto rapporto con gli altri Ministeri nella definizione della programmazione territoriale industriale in tutti i suoi aspetti (produttiva, energetica, logistica, infrastrutturale, strutturale, ambientale, digitale, di ricerca e sviluppo, territoriale) e di tutti gli iter amministrativi necessari supportando le amministrazioni locali. Inoltre questi strumenti andranno coordinati con quanto messo in campo attraverso la programmazione delle politiche di coesione in termini di strategie territoriali del ciclo programmatorio 2021-2027, di rilancio delle Zone Economiche Speciali al Sud e di un uso integrato di strumenti finalizzati allo sviluppo (Accordi di Programma, Contratti di Sviluppo istituzionali, etc.).

Energia, reti digitali, acqua come infrastrutture strategiche per lo sviluppo e la cittadinanza

Il nuovo modello energetico e le infrastrutture digitali sono le frontiere di un nuovo processo di trasformazione. In questo senso i ritardi registrati delle gare per lo sviluppo delle reti a fibra ottica, gli esiti negativi riguardanti i bandi per il 5G nelle aree “a fallimento di mercato”, sono un campanello d’allarme sui limiti di una visione che, affidandosi al mercato, difficilmente sarà in grado di superare il digital divide che affligge le aree più svantaggiate nel nostro Paese. Sarebbe un errore non vedere come un nuovo modello di reti elettriche e la fibra ottica saranno le nuove condizioni della competitività di territori ed imprese, in Italia e nei mercati globali.

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L’acqua è una risorsa strategica e un bene comune. La CGIL deve sviluppare la contrattazione a tutti i livelli per migliorare la qualità dell’acqua, ridurre in modo rilevante le perdite delle reti idriche, promuovere un uso razionale di questa risorsa.
Rendere esigibile a tutti l’accesso alla rete digitale come strumento di esercizio della cittadinanza e contrastare la povertà energetica sono obiettivi che la nostra organizzazione si pone di raggiungere, anche attraverso la contrattazione territoriale, oltre alla rivendicazione di risorse aggiuntive per evitare che i costi dei servizi si scarichino sui cittadine e le cittadine.

2) Piani e strumenti per le giuste transizioni digitale e ambientale

Affrontare la complessità e gli effetti sociali della transizione ambientale e digitale, significa predisporre un Piano nazionale per le Giuste transizioni che definisca strumenti normativi, di policy generale, contrattuali, finanziari, fiscali e sociali per garantire tutela del lavoro e la continuità occupazionale, creazione di nuova occupazione e diritti. Il piano ha sei assi di intervento:

Coordinamento e governo attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo e coordinamento delle grandi aziende pubbliche. Investimenti con la revisione dei trasferimenti alle imprese sotto forma di incentivi e agevolazioni fiscali secondo criteri di selettività, trasparenza e legalità, sostenibilità ambientale, con premialità/condizionalità per tutela, qualificazione e creazione di occupazione. Regolazione per superare la sola logica dei bandi e introdurre importanti e mirate innovazioni amministrative, condivise con le parti sociali, una legislazione “speciale” per la riconversione verde e digitale e per il contrasto ai processi di dumping e una Legge per il clima sulla scorta della normativa europea. Strumenti fiscali e finanziari come i green e social bond, agevolando il contributo di banche e finanza e revisione dei SAD e degli strumenti di incentivazione fiscale. Conoscenza attraverso il potenziamento di ricerca e sviluppo dedicata e percorsi nel sistema di istruzione e formazione. Lavoro e welfare attraverso ammortizzatori dedicati e contrattazione per una migliore distribuzione del tempo di lavoro, standard di lavoro sostenibile, nuovi modelli di partecipazione democratica dei lavoratori e interventi pensionistici finalizzati.

3) Ruolo degli investimenti. Piena occupazione. Riqualificazione dei territori e delle città.

Piano per la piena e buona occupazione e ruolo degli investimenti

La piena e buona occupazione è un obiettivo concreto raggiungibile, doveroso complemento di un cambiamento del paradigma economico, di una trasformazione del modello di sviluppo.
Il primo strumento è il rafforzamento degli investimenti pubblici e della spesa ordinaria (leva per gli investimenti privati), anche per accompagnare e sostenere le scelte del PNRR e subordinare incentivi e bonus pubblici al rispetto dei CCNL di settore stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e alla creazione di occupazione stabile e di qualità.

Il secondo strumento è un Piano per la piena e buona occupazione che ha bisogno di un programma straordinario di vincoli occupazionali e condizionalità per i settori privati a partire dalle risorse pubbliche, diritti, tutele e stabilità del lavoro, la “Garanzia di un lavoro” (Job Guarantee) e l’introduzione di un “Reddito di garanzia e continuità” per favorire la riqualificazione delle conoscenze e delle competenze e di un piano straordinario di assunzioni pubbliche.

Anche la contrattazione collettiva e territoriale può contribuire a questo obiettivo, attraverso accordi e clausole che favoriscano in particolare l’occupazione giovanile e femminile.

Riqualificazione dei territori e delle città.

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Nelle città si vivono forti contraddizioni e diseguaglianze sociali, economiche e di benessere. Sono quindi ambiti prioritari dove lavorare per vincere le principali sfide della sostenibilità, rispondere al bisogno primario della casa e centrali per l’economia urbana e fattori strategici dello sviluppo. È rilevante assegnare alle città metropolitane un assetto istituzionale che corrisponda al bisogno di governo di territori complessi, dinamici e decisivi per la sfida della competitività e della trasformazione del nostro paese.

I filoni prioritari di investimento e di contrattazione, anche alla luce delle nuove norme urbanistiche e di rigenerazione, devono riguardare: il sostegno all’abitare, con un incremento dell’edilizia pubblica e sociale a saldo zero nel consumo di suolo; la riqualificazione degli edifici e delle aree degradate e delle periferie, promuovendo l’efficienza energetica e la sicurezza; la valorizzazione dello spazio pubblico e la bonifica dei siti civili e industriali, integrando le aree interessate nel tessuto urbano; la riorganizzazione e razionalizzazione del sistema infrastrutturale urbano; una gestione virtuosa dei rifiuti, con l’obiettivo di favorire il riciclo dei materiali; la riprogettazione in chiave tecnologica e di produzione intelligente, che consideri spazi e tempi in cui viviamo, in un’ottica di flessibilità. Inoltre è precondizione per garantire la sostenibilità ambientale il rafforzamento e gli investimenti nella mobilità collettiva.

Le città e i territori hanno al centro i dati e la relazione tra questi ed i cittadini. Il sindacato confederale deve rivendicare il coinvolgimento sia nella riprogettazione dei luoghi che necessitano di connettività sufficiente, di protocolli adeguati di cybersecurity, di efficienza dei servizi della PA, di formazione per aumentare il livello di adeguatezza e consapevolezza critica del cittadino.

Vanno previsti interventi normativi per facilitare la condivisione di dati privati e pubblici e per concedere alla PA territoriale un potere speciale di controllo e gestione dei dati a fini di pubblico interesse. Le reti digitali vanno considerate a tutti gli effetti opere pubbliche strategiche. Va negoziato territorialmente l’inserimento di clausole all’atto della concessione di autorizzazione per utilizzo delle reti e si deve poter negoziare gli algoritmi da cui dipende la gestione della cosa pubblica (mobilità, destinazione aree, assegnazione di organico alle strutture pubbliche ecc.). È necessario si diffonda la costruzione di piattaforme pubbliche dei dati generati dai cittadini.

Nuove infrastrutture fisiche che rafforzino il passaggio di merci e persone dalla “gomma” al “ferro e all’acqua”, sono fondamentali per connettere territori e città: in questo senso oltre all’accelerazione sulle opere strategiche e alla manutenzione e ammodernamento delle reti esistenti, è necessario prestare particolare attenzione anche al recupero del gap infrastrutturale nel Mezzogiorno e per sviluppare le c.d. “trasversali” (aree interne).

La vulnerabilità e fragilità del territorio amplificano le condizioni di rischio e i problemi di sicurezza, aggravati dagli effetti del cambiamento climatico. Un’emergenza che, oltre a accelerare e sostenere la ricostruzione delle aree colpite da eventi sismici, impone di agire sia in termini di mitigazione che di adattamento, rafforzando misure di prevenzione e di messa in sicurezza. Il problema non può che essere affrontato sulla base di una programmazione a lungo termine, ma è possibile la costruzione di matrici di priorità, come indicato dalla CGIL nella “Proposta per una Legge quadro per la riduzione dell’impatto delle calamità naturali, la qualità nelle ricostruzioni e la salvaguardia dai rischi”. Il tema della prevenzione associato alle bonifiche, delle oltre 16.000 aree contaminate può rappresentare un “progetto nazionale”, che crea occupazione in un obiettivo di medio periodo, generando anche processi di riduzione della disuguaglianza e di inclusione sociale, in un’ottica di sviluppo sostenibile del Paese.

4) Il lavoro pubblico come leva fondamentale dello sviluppo sostenibile.

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La crisi che abbiamo attraversato ha messo in evidenza il valore strategico del lavoro pubblico ma soprattutto l’enorme carenza di personale in settori strategici, oltre alla scarsa capacità di program- mazione e progettazione del nostro paese. Il sistema dei servizi pubblici deve essere in grado di ri- spondere rapidamente alle emergenze, deve continuare a garantire diritti fondamentali a tutti i citta- dini in modo omogeneo sul territorio nazionale, deve ampliare la gamma delle tutele necessarie in una società che vede mutati i propri bisogni: ciò comporta più personale, maggiore formazione e ag- giornamento, attenzione a tutte quelle professionalità che mancano.

Queste ragioni ci spingono a rimettere al centro la funzione strategica del lavoro pubblico che significa, innanzitutto, superare definitivamente l’idea di rilegificazione del rapporto di lavoro pubblico, valorizzando il ruolo della contrattazione, contro la logica ossessiva di controllo e di valutazione dei singoli che ipocritamente vengono spacciati come strumenti di efficientamento. Fare del settore pubblico una priorità necessita innanzitutto un piano straordinario di occupazione e lotta al precariato che devono essere alla base di ogni piattaforma, anche contrastando forme di lavoro gratuito a qualunque titolo attivato. Occorre invertire, attraverso la creazione di lavoro stabile in tutti i settori strategici, la tendenza alla contrazione dell’occupazione, frutto anche delle politiche di austerity. La creazione, attraverso il PNRR, di occupazione temporanea sicuramente non risolve questa emergenza. Per questo vanno ridotti i tempi delle nuove immissioni di lavoratrici e lavoratori per favorire un adeguato trasferimento di competenze tra vecchi e nuovi lavoratori ed è necessario procedere allo scorrimento di tutte le graduatorie degli idonei nei concorsi pubblici, alla progressiva stabilizzazione dei precari e degli assunti per i progetti del PNRR, procedure semplificate e veloci per il reclutamento di nuovo personale entro il prossimo triennio, quale forma straordinaria per mettere in sicurezza servizi e amministrazioni pubbliche ormai al collasso.

E’ importante innovare i servizi, adeguandoli ai nuovi bisogni attraverso partecipazione e coinvolgimento e la riconquista di un ruolo della contrattazione sulla organizzazione del lavoro. Il rinnovo dei Ccnl e lo sviluppo della contrattazione decentrata devono accompagnare la trasformazione e la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni e la valorizzare le professionalità presenti. Sono necessarie risorse per incrementi salariali che consentano di allineare le attuali retribuzioni ai livelli europei.

La digitalizzazione come strumento di nuova organizzazione del lavoro comporta la necessità di superare i modelli gerarchici e orientati alla attenzione alle procedure anche attraverso un migliore utilizzo del lavoro agile e investire su professionalità, esperienza, nuove competenze, formazione come diritto soggettivo.

5) Sistema fiscale, strumenti di contrasto alla crescita dell’inflazione e al lavoro povero. Finanza e credito

Il fisco è il sistema di raccolta delle risorse pubbliche per politiche pubbliche, beni e servizi pubblici, investimenti pubblici, welfare. Per questo il modello fiscale deve essere redistributivo e progressivo. Non solo per i redditi da lavoro, ma per tutti. E non solo sui redditi, ma anche consumi, transazioni, patrimoni, successioni. Questi principi devono essere alla base di qualunque intervento di riforma fiscale, eliminando le distorsioni a partire dalla flat tax, che si sono determinate. Sosteniamo una curva progressiva “alla tedesca” per IRPEF e uno spostamento del carico tributario sulla rendita, i grandi patrimoni, i consumi, le successioni.

La sfida della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni necessita l’adozione del paradigma Cloud. Bisogna evitare che i servizi digitali della PA poggino su infrastrutture fuori dal controllo pubblico e occorre dare impulso a un processo nazionale di creazione di competenze e di capacità produttive in materia di Cloud per garantire realmente la sovranità digitale e tecnologica. Contestualmente bisogna prevedere soluzioni europee federate, come quelle del progetto GaiaX.

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Il fisco ha anche funzione di selettività e premialità, indirizzo dell’economia, politica industriale. Per questo oltre ad una revisione e una riduzione degli incentivi pubblici, questi vanno condizionati alla tenuta occupazionale, alla creazione di lavoro e all’innovazione. Contemporaneamente, è necessario rafforzare tutti gli strumenti preventivi per il contrasto all’evasione fiscale attraverso tutti gli strumenti che favoriscano la tracciabilità e la trasparenza attraverso l’utilizzo delle banche dati e l’analisi massiva.

Rivendichiamo interventi aggiuntivi di natura fiscale per contrastare gli effetti dell’aumento dell’inflazione a partire dalle fasce di contribuenti a basso reddito: indicizzazione delle detrazioni e in generale strumenti contro il fiscal drag e potenziamento della decontribuzione. Esso deve accompagnarsi a interventi predistributivi sui contratti di lavoro, sulla formazione dei prezzi e la distribuzione della produttività.

Sul versante delle politiche finanziarie è necessario implementare le obbligazioni verdi e sociali per sollecitare gli investimenti privati e il risparmio verso l’economia reale.

Inoltre anche il sistema finanziario, del credito e delle assicurazioni deve contribuire allo sviluppo del paese, sostenendo l’economia reale: attraverso una presenza più diffusa a partire dal Sud e dalle aree interne, rilanciando le attività di banca tradizionale e separandole da quelle di tipo esclusivamente commerciale/finanziario, rafforzando il contrasto all’illegalità, all’usura, al riciclaggio e all’evasione fiscale, contribuendo alla riduzione delle disuguaglianze attraverso una revisione delle regole di accesso al credito. Il sistema finanziario ha il compito di assolvere il suo ruolo di fattore primario della crescita, garantendo un meccanismo più equo di allocazione delle risorse finanziarie e favorendo una crescita fondata sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Ciò anche con riferimento all’utilizzo dei fondi del PNRR, in termini di accesso al credito per piccole medie imprese, sostegno a nuove attività al Sud, a progetti di riconversione produttiva al Nord, a basso impatto ambientale, a progetti in carico alle amministrazioni locali. Al pari di altri settori, anche quello finanziario ha, dunque, dinnanzi a sé un compito fondamentale: consentire che le potenzialità del PNRR si sostanzino in progetti concreti di rinnovamento, modernizzazione e digitalizzazione per la ripartenza del nostro Paese.

NUOVO STATO SOCIALE PER LA COESIONE, L’INCLUSIONE E LA PIENA OCCUPAZIONE E RETI PUBBLICHE DI CITTADINANZA

1) Rispondere alle disuguaglianze sociali e territoriali

Mezzogiorno e aree interne

Lo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree interne del Paese deve essere assunto come obiettivo strategico e trasversale, a partire dai diversi finanziamenti in campo e con un forte ruolo della contrattazione collettiva e territoriale. Intorno all’idea dell’intervento di prossimità e di aggregazione istituzionale e sociale occorre strutturare una vera e propria politica nazionale per il mezzogiorno e per le Aree interne. Il successo di una strategia lo si misura nella sua capacità di rispondere alla vita delle persone, a cominciare dalla creazione di lavoro. In questa direzione occorre un deciso rafforzamento delle amministrazioni territoriali, la cui debolezza soprattutto nel Mezzogiorno è un dato strutturale, certificato fra l’altro dalle difficoltà nell’efficientamento della spesa e nella sua qualità rispetto ai risultati raggiunti nell’utilizzo dei Fondi europei. Per modificare sensibilmente i contesti amministrativi delle aree più fragili, occorrono investimenti per il

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rafforzamento dei soggetti che agiscono nei territori, a partire dalle assunzioni pubbliche necessarie sia per implementare la capacità amministrativa che per rendere effettivi ed agibili gli investimenti del PNRR.

Pari opportunità e diritti per la giustizia di genere e generazionale

La nostra organizzazione nella pratica contrattuale e nelle iniziative di mobilitazione deve rivendicare risposte per affermare la giustizia generazionale e di genere. Il primo punto della piattaforma per la giustizia generazionale e di genere è il lavoro, attraverso un piano straordinario di occupazione pubblica e privata e la parità retributiva e dei diritti. Secondo tema è l’accesso alla casa con politiche abitative dedicate alle giovani generazioni e la formazione con la possibilità di accedere attraverso il reddito di garanzia e continuità a percorsi di istruzione e formazione. Infine è necessario sostenere la partecipazione economica e sociale attraverso il potenziamento dei servizi per l’infanzia e la gratuità degli asili nido, per la non autosufficienza, l’affermazione del principio della condivisione della cura e incentivi per la partecipazione alla vita culturale.

Contrasto alle povertà e al disagio sociale: miglioramento/potenziamento RdC e altri strumenti. Universalità.
La povertà non è una colpa ed è compito del nuovo stato sociale rimuovere le disuguaglianze e superare la condizione di vulnerabilità sociale delle persone. Serve una misura universale di contrasto alla povertà che accompagni il sostegno economico, con l’attivazione di tutti gli interventi e i servizi necessari a promuovere l’inclusione sociale e lavorativa di chi ne beneficia, a partire dalla valutazione multidimensionale dei bisogni. Il Reddito di Cittadinanza può e deve essere questa misura, ma è necessario introdurre i correttivi al fine di modificare la scala di equivalenza, per non penalizzare le famiglie numerose e con minori; ridurre a 2 anni il requisito di residenza che discrimina gli stranieri; reintrodurre la valutazione preliminare dei bisogni dei beneficiari che deve essere accompagnato da un rafforzamento dei servizi sociali degli enti locali con tutte le figure professionali necessarie; rendere facoltativi i Progetti di Utilità Collettiva (PUC); eliminare le

condizionalità punitive.
Assistiamo ad una crescita significativa delle aree del disagio e delle fragilità che coinvolgono vecchi e nuovi settori della popolazione. Per garantire la tenuta sociale complessiva del paese è fondamentale rafforzare e mettere in sicurezza il ruolo dei servizi sociali e della rete delle autonomie locali, presidio di prossimità indispensabile.

Migranti

E’ necessario, che a partire dalle scelte europee, siano riviste le politiche sull’immigrazione, rivedendo gli accordi di Dublino e garantendo libertà di circolazione e movimento e mettendo al centro delle scelte i valori della accoglienza, della solidarietà, della uguaglianza. Nel nostro paese occorre assumere il carattere strutturale delle migrazioni e lavorare sulla piena integrazione, riconoscendo i diritti di cittadinanza per chi è nato in Italia e garantendo il diritto di voto alle elezioni amministrative ed europee i cittadini stranieri non comunitari. Va inoltre riattivata una vertenza per abolire le norme discriminatorie, a partire dalla Bossi/Fini e la legislazione securitaria ai partire dai decreti “sicurezza”. Occorre inoltre la modifica degli strumenti d’ingresso nel nostro paese per superare le attuali rigidità e restrizioni.

2) Sistema organico e universale di tutela e di cura delle persone. Nuovo welfare universale e reti pubbliche di cittadinanza e solidarietà.

Esigibilità del sistema pubblico e universalità

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Va rivendicato, contrattato e rilanciato il valore di un forte Stato Sociale, solidaristico e inclusivo che garantisca diritti e tutele e rimetta al centro il ruolo del sistema pubblico nel dare risposte universali ai bisogni delle persone.
Una società inclusiva fondata sul pieno riconoscimento dei diritti fondamentali non può prescindere da quelli civili e dal rispetto dei principi di laicità e autodeterminazione: vanno riconosciuti i diritti delle persone e delle famiglie LGBTQI+ e contrastata l’omolesbobitransfobia.

La piena e universale accessibilità alle prestazioni sociali e sanitarie, al sistema di istruzione e formazione per tutto l’arco della vita, ai diritti sociali fondamentali non può essere una variabile dipendente dalla Regione in cui si vive o dalla propria condizione economica e non può essere oggetto di differenziazione territoriale come avverrebbe con l’autonomia differenziata. L’equilibrio tra unità e decentramento, deve essere guidato dal principio solidaristico e perequativo e non può condizionare l’esigibilità di un diritto e l’accessibilità a una prestazione che la Repubblica, attraverso la leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali, ha la responsabilità di assicurare in modo uniforme in ogni territorio.

È necessario definire normativamente i principi fondamentali, che devono guidare le politiche pubbliche, e i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che devono essere esigibili ovunque e adeguatamente finanziati dalla fiscalità generale in ragione dei fabbisogni da soddisfare e non della spesa storica.

Non è più sostenibile un sistema di welfare che scarica sulla spesa privata delle famiglie i carichi di cura né un modello centrato prevalentemente sui trasferimenti monetari anziché su interventi e prestazioni. È necessario far rientrare nel perimetro pubblico le funzioni essenziali di tutela e protezione, e ricomporre la filiera dei diritti delle persone, superando i processi di esternalizzazione e privatizzazione.

Tornare a investire nel sistema pubblico di protezione sociale e riportare le politiche sociali e sanitarie al corretto rapporto tra pubblico e privato anche rispetto al ruolo degli Enti del Terzo Settore e del No Profit, a partire dalla programmazione degli interventi, la cui azione non può essere mai sostitutiva, sono una priorità.

Sanità

Occorre rilanciare e dare forza a una vertenza nazionale, da articolare anche nei territori, per la difesa, il potenziamento e lo sviluppo della sanità pubblica, a garanzia del diritto universale alla salute.
Riteniamo prioritario un forte investimento in termini organizzativi ed economici, anche straordinari e al di sopra della media europea in rapporto al PIL nella fase di riorganizzazione e rilancio, del Servizio Sanitario Nazionale per garantire il potenziamento dei servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali e l’esigibilità dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in modo uniforme in tutto il territorio nazionale e accrescere il finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale, anche consolidando e potenziando il trend di incremento registrato durante la pandemia per rispondere ai bisogni di salute e rendere strutturali le risorse previste dal PNRR. E’ necessario che vengano coperte dallo Stato tutte le risorse spese dalle Regioni per il contrasto alla pandemia e per l’organizzazione delle vaccinazioni anti covid onde evitare il disavanzo di bilancio della maggior parte delle Regioni italiane, e il rischio connesso di ulteriori scadimenti delle tutele sanitarie per i cittadini e di privatizzazioni di servizi o prestazioni.

Occorre inoltre definire un piano pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, investa nella formazione, con il definitivo superamento del tetto alla spesa del personale e del numero chiuso per l’accesso ai corsi universitari per le professioni sanitarie e alle scuole di specializzazione per i medici e garantire stabilità occupazionale e maggiori risorse alla ricerca sanitaria.

E’ necessario contrastare i fenomeni della mobilità passiva e dei tempi d’attesa, potenziando strumentazioni e organici, rafforzando il rapporto esclusivo dei medici, rivedendo le modalità di erogazione delle prestazioni in regime di libera professione e superare inappropriatezze e

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diseconomie, investendo nella prevenzione, nella medicina di iniziativa e in una rete capillare di servizi sanitari e socio-sanitari territoriali in un’ottica di forte integrazione, prevedendo anche un piano di assunzioni di medici di medicina generale e specialisti ambulatoriali alle dirette dipendenze dei SSR. Occorre fermare i processi di esternalizzazione e privatizzazione nelle diverse forme in cui si sono concretizzati e riformare il sistema degli accreditamenti anche al fine di contrastare il dumping contrattuale.

È necessario realizzare strutture e presidi territoriali come le Case di Comunità e gli Ospedali di Comunità, a gestione pubblica, garantendo la piena operatività con il personale necessario, garantendo una rinnovata centralità anche strategica dei distretti, e va inoltre garantito il sistema pubblico di assistenza domiciliare, riformata l’attività residenziale riequilibrando il rapporto pubblico-privato, così come per l’area della riabilitazione.

Occorre sviluppare la telemedicina e l’assistenza da remoto per dare risposte ai bisogni socio- sanitari di una parte importante di popolazione, non autosufficiente, con disabilità, con disturbi di salute mentale, con cronicità, con dipendenze e contrastare l’indebolimento del sistema dei consultori rafforzandone la capillarità e garantire la piena applicazione della Legge 194/1978 e la salute di genere.

Riteniamo inoltre urgente definire la legge sulla non autosufficienza, con misure a carico della fiscalità generale e promuovere politiche per l’invecchiamento attivo.

Sistema di istruzione e formazione

La conoscenza diffusa dai primi mesi di vita al più alto grado possibile costituisce il più potente mezzo di emancipazione della persona e di sviluppo delle relazioni sociali. Da ciò deriva la necessità di un maggior investimento pubblico in istruzione innalzando l’attuale livello di almeno l’1% di Pil in scuola, università, ricerca e istituti di alta formazione, al fine di portare il nostro paese in linea con la media di spesa europea.

Il diritto sociale all’istruzione deve essere garantito in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale.
Inoltre è necessario:

  •   determinare i livelli essenziali delle prestazioni;
  •   rendere gratuiti gli asili nido, rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia;
  •   estendere il tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato nella scuola secondaria;
  •   elevare l’obbligo scolastico a 18 anni e cancellare la sperimentazione dei percorsi

    quadriennali nella secondaria di II grado;

  •   stabilizzare il personale precario;
  •   costituire le classi con non più di 20 alunni e scuole con non più di 900 alunni;
  •   potenziare l’autonomia scolastica che va salvaguardata e sviluppata;
  •   garantireintuttoilPaeselosviluppodelsistemanazionaleuniversitariosuperandol’attuale logica competitiva fra atenei, e sostenere il libero accesso alla formazione superiore e il diritto allo studio anche con la drastica riduzione delle tasse di frequenza;
  •   garantire lo sviluppo del sistema pubblico della ricerca, riconducendo nel suo perimetro tutti gli enti e istituti del settore, aumentando, in particolare, l’intervento statale diretto nella ricerca di base e applicata.

    3) Sistema previdenziale e riforma delle pensioni

    È necessaria una riforma strutturale del sistema previdenziale al fine di eliminarne gli aspetti iniqui, e fra i più restrittivi d’Europa, in linea con le richieste indicate da tempo nella piattaforma unitaria. È necessario introdurre flessibilità nell’accesso alla pensione, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, garantendo strutturalmente condizioni più favorevoli per

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l’accesso alla pensione delle categorie più fragili, riconoscendo la diversa gravosità del lavoro e allargando la platea dei lavori usuranti e di coloro che svolgono lavoro notturno.
Occorre valorizzare il lavoro delle donne, che hanno subito maggiormente il peso della riforma Fornero, e più in generale il lavoro di cura non retribuito e garantire ai giovani e a coloro che svolgono lavori precari e/o discontinui, con retribuzioni basse, una pensione contributiva di garanzia valorizzando tutti quei periodi degni di tutela, come i periodi di inoccupazione legati a politiche attive, di formazione, di stage, di tirocinio, di studi universitari, di lavoro di cura, incentivando il versamento contributivo e il sistema pubblico, e dando garanzia di sostenibilità al nostro sistema previdenziale a ripartizione.

E’ necessario inoltre eliminare i vincoli presenti nel sistema contributivo, che condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento pensionistico, penalizzano il lavoro povero, discontinuo, i redditi medio bassi e soprattutto le donne e modificare l’attuale meccanismo automatico di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita e sostenere il potere di acquisto delle pensioni in essere, attraverso la perequazione automatica e la quattordicesima, con l’allargamento della platea e l’innalzamento della misura.

Infine occorre rilanciare le adesioni alla previdenza complementare negoziale, rendendola effettivamente accessibile anche a chi lavora nelle piccole imprese e ai giovani, attraverso l’avvio di un nuovo semestre di silenzio assenso e adesione informata, la riduzione fiscale sui rendimenti e un maggiore sostegno agli investimenti nell’economia reale del Paese da parte dei fondi pensione negoziali.

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Documento LE RADICI DEL SINDACATO. Senza lotte non c’è futuro

1. Perché un documento alternativo. Una Cgil radicale, conflittuale e di classe.

L’ultimo congresso della Cgil aveva generato in molti/e la speranza di un cambiamento della linea degli anni passati, verso maggiore democrazia, conflittualità sociale, autonomia dalla politica e un rapporto più stretto con i movimenti. Questo cambio di rotta non è avvenuto. Per questo presentiamo un documento radicalmente alternativo a quello della segreteria nazionale, chiedendovi di sostenerlo.

In questi anni, la Cgil non si è contrapposta al governo in modo efficace e a una opposizione radicale ha preferito l’unità con i vertici di Cisl e Uil. Quando ha tentato di mobilitare il mondo del lavoro, è sembrata poco convinta, timorosa di mettere in discussione le compatibilità di sistema, intenzionata a ricostruire le condizioni per gestire la crisi insieme a padronato e governo.

Attraversiamo una fase di straordinaria gravità, caratterizzata da una pandemia mondiale, dall’aggravarsi della crisi ambientale e dalla minaccia che la guerra assuma dimensioni mondiali. Una fase segnata da una gestione capitalistica della crisi che, a fronte dell’eccezionale recessione del 2020, ha avviato importanti politiche di spesa: tra manovre economiche e fondi europei sono stati stanziati 396 miliardi di euro, per la maggior parte a debito, che dovremo quindi ripagare nei prossimi anni. Dopo anni di sacrifici, finalmente avrebbero potuto esserci risorse per lo Stato Sociale, il lavoro, i salari, la sicurezza, le pensioni, gli investimenti nel Sud e l’occupazione dei giovani e delle donne. Invece, in larghissima parte, di nuovo, queste risorse sono andate principalmente alle imprese e al mercato. Per noi sono rimaste le briciole, persino per sanità e scuola, che, dopo la pandemia, dovevano essere la prima urgenza del paese e che invece sono l’ultima voce di spesa, ulteriormente impoverite dalla scellerata decisione di aumentare ancora le spese militari.

In questa situazione, la Cgil avrebbe dovuto rivendicare una svolta in grado di contrastare la crisi e pretendere, con una vertenza unificante, risorse e investimenti per il lavoro, per finanziare una riforma del sistema pensionistico in senso egualitario e socialmente sostenibile e per veri aumenti salariali, tanto più necessari e urgenti a causa dell’aumento dei costi energetici.

Abbiamo invece inseguito il governo Draghi e rinunciato a un ruolo di opposizione sociale. Abbiamo assecondato una gestione contraddittoria della crisi sanitaria, fin dall’inizio indirizzata a garantire il profitto e l’economia prima che la salute pubblica. La Cgil ha subìto la decisione di porre fine al blocco dei licenziamenti, quella di operare altri tagli ai servizi sociali e quella di imporre nuove privatizzazioni. Non abbiamo contrastato l’autonomia differenziata. Quando, finalmente, siamo arrivati allo sciopero generale, il 16 dicembre scorso, era tardi. Non c’era una reale intenzione di costruire finalmente una opposizione sociale e infatti, per mesi, non c’è stata una mobilitazione generale in campo, nonostante l’ennesima promessa infranta sulle pensioni e l’impoverimento dei salari, a causa dell’impennata inflazionistica.

C’è uno scostamento enorme tra quello che la Cgil proclama nei documenti e quello per cui i vertici si attivano, si mobilitano e contrattano. É la condizione stessa di chi rappresentiamo a renderlo palese. Negli ultimi 30 anni, in Italia, i salari reali sono diminuiti, gli orari medi sono più lunghi, la precarietà è aumentata, il tasso di occupazione delle donne, soprattutto al Sud, è molto più basso della media europea, tre persone al giorno in media muoiono sul lavoro. Per cambiare tutto questo, la Cgil deve partire prima di tutto dal mettere in discussione la linea che ha accettato e praticato in questi decenni.

Sono anni, per esempio, che, nei Congressi, si promette una campagna di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, ora proponendola per legge. È un obiettivo sacrosanto, ma non basta scriverlo, se poi non ci si mobilita davvero, nemmeno per la riduzione dell’età pensionabile. È a monte che la Cgil deve cambiare linea: non basta proclamare quello che vogliamo, dobbiamo proporre una strategia di lotta per provare davvero e fino in fondo a ottenerlo. Senza una vera intenzione di mobilitarsi e di costruire occasioni radicali di lotta, senza una piattaforma generale, non riusciremo a ottenere nemmeno uno dei diritti che abbiamo perso e che ogni quattro anni, nei Congressi, promettiamo di riconquistare.

Per far questo, bisogna partire dal bilancio di quello che è stato fatto. L’attuale linea della Cgil si è rivelata

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Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

nei fatti in continuità con quella degli anni precedenti, persino più ostinata nel cercare la concertazione e sviluppare nuove forme di codeterminazione che, comunque, in tutta evidenza il governo Draghi non vuole concedere. Una Cgil che, nonostante le divisioni con la Cisl, la loro esplicita subordinazione al governo e al padronato e l’acuirsi delle divergenze tra i rispettivi modelli sindacali, continua a presentare piattaforme unitarie e persino inseguire l’illusione di una unità organica tra le confederazioni. Un’idea che, per i differenti sistemi valoriali e le diverse pratiche sindacali e contrattuali, per noi, è impraticabile.

Oggi la Cgil, nel confronto pubblico e nell’azione sindacale, è più moderata di prima di fronte a una Confindustria che è invece più agguerrita che mai, perfino feroce nei momenti più drammatici della crisi sanitaria, quando, nella primavera del 2020, con le pressioni per non istituire subito la zona rossa in Val Seriana e gli slogan #bergamoisrunning e #milanononsiferma, rivendicava senza scrupoli che la produzione non poteva fermarsi, anteponendo gli interessi economici e il profitto alla sicurezza di chi lavora e alla salute di interi territori.

Serve, oggi più che mai, una Cgil che, oltre a fare proclami e scrivere grandi documenti, sia in grado di riattivare antagonismo e conflittualità per contrapporsi agli interessi di Confindustria e del governo Draghi. Non serve moderazione, ma al contrario maggiore radicalità, come ha dimostrato la vertenza esemplare di GKN, la fabbrica in provincia di Firenze che è stata occupata il 9 luglio del 2021, diventando protagonista di un vasto movimento di lotta che ha portato in piazza decine di migliaia di persone contro un intero sistema di sfruttamento, fatto di licenziamenti e delocalizzazioni, precarietà, appalti, bassi salari, ingiustizie e sfruttamento. La lotta di un collettivo di fabbrica, dopo decenni, attraverso il protagonismo dei delegati e il rapporto democratico con i lavoratori, è riuscita a dare una prospettiva di cambiamento, proponendo una linea sindacale alternativa, radicale e di lotta, non settaria ma rivendicativa, che ha messo da parte il senso di sconfitta e di rassegnazione e ha saputo costruire, oltre alla necessaria vertenza in tribunale e sui tavoli di trattativa, un movimento di lotta, fatto di legami di solidarietà e di convergenza, tenendo insieme, sotto un’unica parola d’ordine, #INSORGIAMO, il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici con quello ambientalista, della scuola e per la pace.

Questo è quello che l’intera Cgil dovrebbe fare, archiviando finalmente anni di concertazione, compatibilità, moderazione salariale, rassegnazione; anni di lotte non fatte (come nel 2011 sulle pensioni), iniziate tardi (come quella contro il Jobs act) oppure non proseguite (come l’ultimo sciopero generale); anni di burocratizzazione dell’organizzazione, enti bilaterali e servizi, patti sociali e allontanamento dai movimenti sociali.

Per affrontare le sfide della modernità e del futuro, bisogna guardare avanti, capire e anticipare i cambiamenti organizzativi, le sfide della digitalizzazione, la gig economy, lo sfruttamento 4.0, senza mai smettere di ricercare e ritrovare nella nostra storia e identità, il nostro ruolo antagonista e di classe, valorizzando il protagonismo dei delegati/e e delle lotte. È necessario ricostruire i rapporti di forza nei luoghi del lavoro, sostenere l’autorganizzazione, i comitati di lotta, i coordinamenti, le assemblee di delegati/e nella costruzione delle piattaforme e degli scioperi. È necessario sviluppare una conflittualità diffusa, in grado di riprendere il controllo sul salario e sull’organizzazione del lavoro e ricomporre in una vertenza generale le lotte nei posti di lavoro e nei territori. Lotte come quelle che, a marzo 2020, anticiparono le decisioni dei vertici sindacali e, nella situazione di pericolo determinata dal Covid, portarono autonomamente a chiudere tante fabbriche prima che lo decidesse, fuori tempo massimo, il governo.

In poche parole, la Cgil deve recuperare le proprie radici, in questo senso recuperare la piena autonomia da governi e padronato e tornare a essere più “radicale”.

2. Lo scenario: il mondo allo sbando. Crisi climatica, pandemia, guerra

La crisi dell’attuale capitalismo, trasformando il mondo con velocità e intensità senza precedenti, sta producendo disastri, generando contesti di incertezza, conflitti e rischi sistemici, che moltiplicano le emergenze e le crisi planetarie, determinano e rendono drammatica la scarsità delle risorse energetiche, minerarie e alimentari, pongono in discussione la stessa sopravvivenza dell’umanità. Anche la pandemia di Covid, che ha prodotto milioni di morti nel mondo, è l’effetto di queste dinamiche: la devastazione ambientale, la massiccia urbanizzazione e l’intensificazione degli allevamenti animali. Tutto ciò mette a dura

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Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

prova le condizioni di vita del mondo intero, aumentando le disuguaglianze tra chi sfrutta e chi è sfruttato. In questo quadro, sono 59 i conflitti aperti nel mondo. La guerra in Ucraina, l’unica di cui si parla, è uno spartiacque, che ridisegna aree economiche, alleanze politiche e blocchi militari contrapposti intorno ai principali poli imperialisti del mondo. Una dinamica che accelera i nazionalismi, il riarmo generalizzato e politiche economiche di guerra.
Le conseguenze della guerra sono pagate amaramente dalle popolazioni, a cominciare da quella ucraina, colpita direttamente. La ferma condanna dell’invasione russa è imprescindibile, ma non basta. Bisogna individuare e rimuovere le diverse cause che l’hanno determinata e opporsi a tutti coloro che hanno interesse nel proseguire la guerra, a partire dalla NATO e dalla sua strategia di espansione e di riarmo che ha alimentato la tensione. La guerra e le sanzioni

mentre gli Stati Uniti, perseguendo i propri obiettivi di potenza, esportano in misura maggiore e a un prezzo più alto il loro gas, prodotto con enormi devastazioni ambientali. La Cgil deve promuovere un movimento generale contro la guerra, in relazione e in supporto alle organizzazioni sindacali di ogni paese che lottano contro i nazionalismi e le logiche di questo conflitto. Dobbiamo mobilitarci per l’uscita dell’Italia dalla Nato, contro l’invio di armi, il riarmo e la politica bellicista del governo Draghi. Dobbiamo continuare e aumentare il nostro impegno nella raccolta di aiuti umanitari alle popolazioni coinvolte nella guerra, nel sostegno all’accoglienza degli uomini e delle donne

profughe e dei disertori.
La nuova crisi sta rallentando la crescita cinese e colpirà i paesi periferici, mentre fra quelli avanzati le conseguenze peggiori saranno sopportate da chi, come l’Italia, ha già debiti elevati. Tutto questo precipita sulla UE, dopo decenni di politiche liberali fatte di austerità, privatizzazioni, scelte antipopolari e contro il lavoro. La gestione stessa della crisi economica, della pandemia e ora della guerra, oltre a rendere palesi le contraddizioni interne, conferma il ruolo di subalternità dell’EU agli interessi del capitale finanziario. Si annuncia una crisi ancora più difficile da contrastare e gli strumenti fino ad oggi pensati, come il rialzo dei tassi della Fed e prossimamente della Bce, determineranno lo strangolamento dell’economia reale, favorendo la finanza e colpendo i consumi.
Le conseguenze di tutto questo saranno drammatiche, non solo in termini di vite direttamente colpite dalla guerra, ma anche per le carestie che saranno causate dalla rarefazione delle materie prime e per l’impennata inflazionistica (basata sull’espansione del debito e le politiche monetarie per gestire la crisi dell’ultimo decennio, innescata dalla ripresa post-pandemica ed esacerbata dalla guerra), che sta già determinando effetti dirompenti sui salari e sulle condizioni di vita dei ceti popolari.
Anche gli impegni assunti dalle grandi potenze per rallentare la catastrofe ambientale, già insufficienti, finiscono, per essere vanificati. La logica che li sottendeva, in realtà, non era tanto la salvaguardia del pianeta, quanto il profitto dei grandi investitori. Con la guerra, questi impegni vengono ulteriormente stravolti da scelte energetiche scellerate e si ricomincia a parlare di ritorno al carbone, al nucleare, alle trivellazioni nel mare e alle forme più invasive di estrazione del gas, con conseguenti ulteriori devastazioni ambientali.
Gli effetti della crisi saranno durevoli e faranno emergere un’economia globale profondamente diversa dal passato per specializzazioni e aree geografiche. Al generale impoverimento della popolazione corrisponderà un arricchimento sempre più insostenibile e quasi esente dal carico fiscale delle aziende globali e di una ristrettissima fascia di multimiliardari.
Il drastico peggioramento delle condizioni di vita popolari, in assenza di una speranza di cambiamento e di riscatto del lavoro, rischia di alimentare i governi reazionari e sovranisti e i sistemi politici in cui, anche grazie a una informazione asservita alla politica, si sviluppano strutture tecnocratiche che esautorano i Parlamenti, anche contro gli orientamenti della maggioranza della popolazione.
L’Italia è particolarmente coinvolta in questo scenario da “economia di guerra”: l’impennata inflazionistica e l’ulteriore riduzione dei salari, la ripresa delle politiche di privatizzazione e di tagli alla spesa pubblica, la riduzione della crescita, la carenza e il rincaro delle materie prime che rischia di causare il rallentamento e la chiusura di migliaia di aziende impattano su un sistema produttivo già debole. Un sistema che era già uscito

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, nel quadro della competizione mondiale e delle speculazioni

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sui mercati, hanno finito per colpire la popolazione, accentuando in Russia, in Europa e nel mondo

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disoccupazione, diseguaglianze e l’impoverimento dei salari,

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Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

più frammentato e divaricato tra Nord e Sud dalle due recessioni del 2009 e del 2012 e che soffre da anni l’assenza di una visione strategica e di piani di sviluppo e di investimento pubblico sui principali settori manufatturieri e energetici.
Anche il sistema bancario italiano, in un’economia costruita sulla finanziarizzazione, ne è uscito profondamente trasformato: sono stati travolti i confini tra raccolta del credito e investimento e si è determinata una concentrazione in grandi gruppi internazionali, che accumulano profitti sulle spalle delle persone e scaricano i costi delle proprie concentrazioni su lavoratori e lavoratrici.

3. Il lavoro tra vecchio e nuovo sfruttamento.

3.1 Basta precarietà

A partire dagli accordi di concertazione degli anni 90 fino alla cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori nel 2012 e ancora con il Jobs act nel 2014, precarietà, ricatto, riduzione dei diritti e bassi salari hanno completamente trasformato il mondo del lavoro.
La crisi sanitaria ha peggiorato queste dinamiche, lasciando centinaia di migliaia di persone, in larghissima parte donne, senza lavoro e ammortizzatori. Nel 2020 sono infatti andati perduti quasi 1 milione di posti, in particolare in servizi, cura, pulizie, commercio, turismo, arte e spettacolo. La ripresa c’è stata, in parte, ma tutta con lavoro precario (97%), anche nel settore pubblico. Questa crescente precarietà cristallizza i divari, in particolare tra uomini e donne, tra Nord e Sud, alimenta ingiustizie e rende tutte/i più ricattabili. Si è determinato un abbassamento complessivo di salari, diritti e sicurezza, con condizioni di iper-sfruttamento in alcuni settori tradizionali, come logistica e lavoro agricolo, ma anche in quelli più innovativi come la gig economy.

Tale dinamica deve essere radicalmente messa in discussione limitando per legge e nei contratti nazionali l’utilizzo dei contratti a termine (solo per picchi di produzione, sostituzioni, stagionalità). Bisogna riunire la complessità dei lavori, tornando a riunificare contratti e salari, con un’iniziativa sindacale determinata e persistente. Il lavoro a tempo indeterminato deve tornare a essere la regola. La Cgil deve rilanciare una campagna di mobilitazione per l’abrogazione del Jobs act, di tutte le precedenti leggi sulla precarietà e per la riconquista dell’art.18: iniziativa che è invece stata derubricata dalla nostra agenda, insieme alla raccolta firme sulla Carta dei diritti del 2015. Dobbiamo garantire le stabilizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici precarie, sia nel pubblico che nel privato, impedire l’esternalizzazione di rami d’azienda, riassorbire appalti e esternalizzazioni nei servizi pubblici, rafforzare la clausola sociale, vietare lo staff leasing e l’uso improprio del lavoro para-subordinato e delle partite IVA, riconducendo al lavoro dipendente i rapporti di lavoro fittiziamente autonomi.

Occorre rivendicare una politica occupazionale attiva gestita da servizi pubblici e che non divenga occasione di sviluppo di nuovi mercati e profitti. Contestualmente, va sviluppata una politica occupazionale e di investimenti per il Sud, un piano straordinario in grado di azzerare le disparità infrastrutturali, annullare le differenze nei servizi sociali, sviluppare lavoro e occupazione. Un intervento pubblico che sia anche contro le mafie e le loro politiche di sottosviluppo, che segni nel contempo una svolta rispetto alle prassi clientelari che hanno caratterizzato storicamente l’alleanza tra le classi dominanti del territorio e quelle nazionali. Aree condannate altrimenti a ulteriore impoverimento, anche a causa della ondata migratoria, soprattutto giovanile, degli ultimi anni.

Si deve rompere con le politiche ghettizzanti, rivolte a donne e giovani. Bisogna cambiare prospettiva e rafforzare per tutti/e, uomini e donne, i congedi parentali e il sistema pubblico di cura, in particolare per l’infanzia e la non autosufficienza, investendo finalmente in una grande campagna di assunzioni nei servizi pubblici. In particolare, per i giovani, vanno pensate misure specifiche, a partire dal contrasto a ogni forma di lavoro gratuito o sottopagato, imposto oggi come regola di ingresso nel mondo del lavoro (dall’alternanza scuola-lavoro a stage, tirocini e finto apprendistato).

Al tempo stesso, deve essere radicalmente rivisto il sistema degli ammortizzatori sociali, delle indennità di disoccupazione e del sostegno alla povertà. Nessuno deve essere lasciato senza lavoro e senza reddito. La cassa integrazione deve aumentare il proprio importo e essere estesa universalmente a tutti i lavoratori e le

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lavoratrici, attraverso un maggior contributo a carico delle imprese. L’indennità di disoccupazione deve essere sostenuta dallo Stato, aperta a chiunque cerchi lavoro senza vincoli di età o condizione, mantenuta costante nel tempo, accompagnata con politiche attive di formazione e qualificazione senza obblighi che spingano ad accettare impieghi squalificati o sottopagati. Al di là di ciò, a carico della fiscalità generale ci deve essere uno strumento universale di contrasto alla povertà, cioè un reddito di base, senza vincoli, che comprenda, oltre al sostegno economico, politiche di inclusione e sostegno sociale.

3.2 Tuteliamo il nuovo lavoro

Bisogna regolare le nuove forme di lavoro. I cambiamenti vanno accompagnati, anzi anticipati, senza però mai perdere di vista tutele e diritti: troppo spesso l’innovazione si è tradotta in “nuovo lavoro con vecchio sfruttamento”, a volte anche più invasivo a causa del digitale, che può rendere meno controllabile la prestazione, l’orario e l’organizzazione del lavoro. Questo sta avvenendo anche nei settori più tradizionali: in fabbrica o nella logistica con la digitalizzazione di linee e mansioni; nei lavori impiegatizi e pubblici con le diverse forme di lavoro agile o da remoto (smartworking).

Tali processi, in particolare lo smartworking, sono stati accelerati dalla crisi e sono esplosi durante la pandemia, in un’ottica emergenziale. Ora si stanno strutturando in molti settori. Le nuove modalità e forme di lavoro, oggi consentite dalla tecnologia, da infrastrutture digitali diffuse e dall’uso di massa, potrebbero essere occasione per i lavoratori e le lavoratrici di riduzione della fatica, maggiore autonomia, autogestione di tempi e prassi lavorative, riduzione di orario, conquista di spazi di vita. In generale, potrebbero essere una occasione di riduzione del traffico, dell’inquinamento e di diversa gestione dei tempi e degli spazi delle città. Finiscono, però, molto più spesso, per essere terreno di diminuzione dell’occupazione, esternalizzazioni, perdita di salario, individualizzazione del rapporto di lavoro e rischio di isolamento, allargamento a dismisura di reperibilità sui tempi aziendali, moltiplicazione del controllo (anche tecnologico) sulla prestazione, uso padronale dei tempi di vita. Per tanti/e, in particolare per le donne, l’uso massivo dello smartworking nell’emergenza ha avuto queste caratteristiche. Per molte imprese e anche servizi pubblici è stata invece una occasione di riduzione strutturale dei costi e incremento dello sfruttamento. Queste diverse modalità e forme di lavoro devono essere pienamente contrattate, sia nel pubblico che nel privato, garantendo occupazione, tutele, diritti e salari. Il lavoro agile e da remoto (smartworking) deve essere una scelta libera e reversibile, i costi di connessione, di illuminazione e di riscaldamento non devono ricadere sui lavoratori e sulle lavoratrici, devono essere confermate (o sostituite) tutte le forme di indennità e salario accessorio, garantite le norme di sicurezza, gli spazi e l’ergonomia delle postazione, tutelati i diritti sindacali e contrastato il rischio di isolamento, garantiti precisi limiti ai tempi di lavoro e reso esigibile il diritto alle disconnessione.

In generale, l’incremento di produttività e i minori costi collegati alle applicazioni di tecnologie informatiche e digitali devono essere immediatamente tradotti in aumento della qualità del lavoro, riduzione dell’orario e quindi aumento dell’occupazione.
L’innovazione digitale sta determinando anche un controllo sempre più invasivo sui lavoratori e sulle lavoratrici. I big data, raccolti all’interno e all’esterno dei processi di lavoro, consentono ai datori di lavoro una conoscenza pervasiva e incontrollata di abitudini, stato di salute, esigenze economiche, legami sociali, idee politiche di chi lavora o cerca lavoro, alimentando nuove discriminazioni e perpetrando quelle di sempre, compresa quella di genere. La Cgil deve essere parte attiva di questa discussione e lanciare una campagna informativa e di mobilitazione affinché il tema sia regolato da norme specifiche, a tutela della privacy, ma ancora prima contro ogni discriminazione, controllo e limitazione della libertà, individuale e sindacale.

3.3 Una legge contro licenziamenti e delocalizzazioni

Deve essere rivendicata una vera legge contro le delocalizzazioni. Lo sblocco dei licenziamenti a luglio 2021 Sono decine le aziende che

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è stata una resa senza condizioni, subìta con la firma su una “presa d’atto”, che ratificava un impegno generico e non vincolante delle imprese, in cambio della promessa mai mantenuta di una riforma sugli

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ammortizzatori e senza un piano per i settori a rischio, come l’automotive.

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Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

hanno chiuso e trasferito la produzione all’estero, dopo aver preso milioni di euro dai governi. È esemplare la vertenza delle acciaierie di Piombino, dove da 8 anni i lavoratori aspettano un piano industriale, mentre si avvicendano compratori stranieri che promettono, speculano e poi abbandonano il sito. Oltre ai casi più noti di grandi imprese come Termini Imerese, Alitalia e Almaviva, sono centinaia di migliaia i lavoratori e le lavoratrici abbandonati nel silenzio, con l’unica prospettiva fallimentare della cassa integrazione.

La legge approvata dal governo nell’autunno scorso non è la soluzione. Non vincola né punisce le aziende che delocalizzano dopo aver ricevuto sovvenzioni, invece formalizza le procedure, stabilendo i tempi e monetizzando i licenziamenti. Rende cioè le delocalizzazioni più facili e certe per le imprese.
Sulle delocalizzazioni esiste una proposta, scritta da vari giuristi democratici la scorsa estate durante l’occupazione di GKN, che prevede l’annullamento dei licenziamenti e in caso di cessione dello stabilimento il diritto alla prelazione da parte di una cooperativa di lavoratori e lavoratrici, sostenuta da forme di nazionalizzazione, a partire dai settori in crisi e da quelli strategici. Questa proposta deve essere sostenuta dall’intera Cgil e deve diventare volano di una grande campagna di mobilitazione contro licenziamenti e delocalizzazioni, costruendo le condizioni di forza per rivendicare l’intervento pubblico e le nazionalizzazioni senza indennizzo, in cui lavoratori e lavoratrici divengano protagonisti di un nuovo controllo dei processi di produzione.

Per questo bisogna tornare a una pratica conflittuale e di lotta che costruisca mobilitazioni diffuse, alimentando convergenza e solidarietà. Nessuno si salva da solo: per difendere le aziende in crisi, bisogna mobilitare l’intero territorio e il settore coinvolto, modificando i rapporti di forza, anche attraverso i legami di solidarietà.

4. La contrattazione: salario, orario e sicurezza sul lavoro

4.1 Aumentiamo i salari, cancelliamo l’IPCA, conquistiamo una nuova scala mobile

L’Italia è l’unico paese in Europa dove, negli ultimi 30 anni, i salari reali non sono aumentati e dove si guadagna meno che nel 1990. Gli stipendi sono stati prima moderati dalla concertazione, poi bloccati da provvedimenti legislativi, infine erosi dalla crisi dell’ultimo decennio. Ma soprattutto pesa l’offensiva padronale: la durata dei contratti nazionali è stata allungata, sono moltissimi quelli che non vengono rinnovati alla scadenza con ritardi clamorosi. È stato da tempo smantellato ogni meccanismo automatico di rivalutazione (scala mobile), sono state depotenziate quasi tutte le progressioni economiche come gli scatti di anzianità (eliminati nella scuola e fermi da anni in molti settori privati). Inoltre, sono state inserite negli aumenti componenti non monetarie (welfare e benefits) e sono aumentate le parti variabili e aleatorie, anche tramite la detassazione.

Questa condizione, che da sempre pesa in modo maggiore sulle donne, è stata aggravata dalla pandemia e dalla successiva ripresa con il ritorno dell’inflazione, destinata a crescere nei prossimi mesi a causa della guerra e della speculazione su energia e materie prime. Una situazione intollerabile che pesa in particolare sui redditi più bassi, soprattutto dei precari, ma in generale del lavoro dipendente e dei pensionati/e, anche a causa delle basse rivalutazioni degli stipendi e delle pensioni negli ultimi anni. Tre famiglie su quattro stanno riducendo anche le spese per mangiare e curarsi. Quattro milioni di persone non riescono a pagare le bollette.

Tale impoverimento è frutto anche dell’abbandono da parte del sindacato di politiche rivendicative e conflittuali nei rinnovi contrattuali, sia pubblici che privati, con l’accettazione dei vincoli imposti dalle imprese, come il Patto per la Fabbrica del 2018, l’IPCA (indice inflattivo depurato proprio dall’aumento dei costi dell’energia) e la possibilità di derogare in senso peggiorativo i contratti nazionali e le leggi (art.8 legge 138/2011). Anche gli aumenti contrattuali “a 3 cifre” sono ben poca cosa rispetto alla crescita dell’inflazione che si profila. È il caso del contratto dei metalmeccanici, dove l’aumento superiore a 100 euro, scambiato nella primavera del 2021 con un allungamento della durata e una rischiosa riforma dell’inquadramento professionale, ha finito per essere risucchiato dall’inflazione successiva, peraltro su importi erogati ex post, quindi con un anno di ritardo rispetto all’aumento reale dei prezzi.

Al tempo stesso, il fatto di non aver contrastato adeguatamente il proliferare della precarietà e le catene di subappalti ha determinato una giungla contrattuale, che alimenta la competizione anche all’interno dello

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stesso sito di lavoro, con effetti negativi per tutti/e, sia salariali che di sicurezza.
Negli ultimi anni, a fronte di scarsi aumenti nei contratti nazionali, il sindacato ha preferito seguire altre due strade, entrambe fallimentari. Innanzitutto si è accodato alla generale richiesta al governo di riduzione delle tasse, alimentando l’illusione di un salario netto superiore in busta paga, ma a costo di un’erosione delle entrate e conseguenti tagli allo Stato Sociale. In secondo luogo, ha accettato di rimandare parte degli aumenti al secondo livello della contrattazione, quello aziendale, meno diffuso proprio dove i salari sono generalmente più bassi, cioè nelle piccole imprese, al Sud e nei settori ad occupazione prevalentemente femminile. Questo ha avuto l’effetto di incrementare i differenziali salariali complessivi, sia territoriali che di genere, ma anche di aumentare le differenze tra i settori e tra le diverse dimensioni di impresa. Inoltre ha rinforzato una logica fondata su indicatori variabili e incerti, legati alla produttività, alla presenza e alla “meritocrazia”, che rischia di divenire, anche nel settore pubblico, strumento arbitrario di controllo e divisione della forza lavoro. Mantenere i salari nazionali bassi e pensare di recuperare la produttività al secondo livello ha anche un altro rischio, assai insidioso: quello di consegnare direttamente alle aziende il potere salariale, attraverso superminimi individuali, straordinario o elargizioni collettive unilaterali, distribuite paternalisticamente come regalie.
Al tempo stesso, si è affermata la pratica del welfare contrattuale, in particolare i fondi sanitari e pensionistici, persino nel settore pubblico. Tutto ciò è stato utilizzato per rendere meno evidente l’abbassamento complessivo dei salari, ma ha alimentato indirettamente la sanità privata e reso più povere le pensioni per effetto dei minori contributi versati.
È ora di cambiare radicalmente questa linea, di riprendere una politica di lotta, di rifiutare la moderazione salariale, di rivendicare aumenti più alti dei minimi contrattuali anche con piattaforme separate se necessario e di mettere in discussione, nel privato, i vincoli dettati dalle imprese, a partire dall’IPCA; nel pubblico, il Patto per l’Innovazione di Brunetta e le leggi che limitano il diritto di sciopero nei cosiddetti servizi essenziali. Il contratto nazionale deve tornare a essere uno strumento universale e solidaristico di crescita del salario per tutte/i. Bisogna rivendicare aumenti fissi e certi e pretendere la riforma della rappresentanza, impedire i contratti pirata e la competizione sleale negli appalti. Nel settore pubblico, dobbiamo tornare alla piena contrattualizzazione superando i vincoli imposti dal decreto 165/2001.
Un deterrente importante allo sfruttamento può essere un salario minimo che determini una paga oraria certa, dignitosa e sotto la quale nessun lavoro possa essere svolto, a patto che non sia un modo per aggirare le condizioni normative dei contratti nazionali, ma invece lo strumento per tutelare le retribuzioni dal dumping contrattuale di alcuni settori e il volano per rafforzare la contrattazione in senso generale, spingendo verso l’alto le retribuzioni di tutti/e.
Infine occorre ripensare a una nuova scala mobile, cioè un meccanismo di recupero automatico dell’inflazione. La Cgil deve mettere questa rivendicazione al centro della sua strategia: per rafforzare la contrattazione nazionale, serve oggi più che mai un meccanismo che all’aumento dei prezzi faccia seguire un aumento automatico dei salari, come era la scala mobile che ci è stata tolta 30 anni fa.

4.2 Lavorare meno, lavorare tutte/i!

È ora anche di riprendere il controllo dei tempi e degli orari di lavoro nei contratti nazionali, perché, dopo 30 anni, non soltanto si guadagna di meno, ma si lavora di più e peggio. La moderazione salariale ha dato alle imprese la possibilità di aumentare lo sfruttamento, utilizzando la leva della precarietà e dei bassi salari per imporre a tutti/e un maggior controllo di orario, ritmi e carichi di lavoro più elevati, con ricadute anche sulla sicurezza e la salute di chi lavora. Nel privato, soprattutto nella produzione manifatturiera, questo ha corrisposto a un aumento dello straordinario, dei ritmi e della flessibilità imposta. Nei servizi, ha preso la forma di una pericolosa destrutturazione dell’orario, con part time in larghissima parte imposti, soprattutto alle donne, e di conseguenza salari ancora più bassi, scarsissimo controllo dell’orario e lo sdoganamento di turni spezzati, domenicali e festivi. Nei servizi pubblici, questo ha significato il pieno controllo delle direzioni su lavoro, flessibilità e performance, agevolato dal cedimento sindacale rispetto a quegli istituti contrattuali che consentivano di contrattare orari e organizzazione.

I lavoratori e le lavoratrici devono recuperare il controllo della prestazione e dell’orario di lavoro, tornare a

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Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022

contrattare l’organizzazione del lavoro e rivendicare la riduzione generalizzata dell’orario a parità di salario: “lavorare meno per lavorare tutti/e”, redistribuire cioè il lavoro esistente, aumentandolo dove non c’è o è poco, riducendolo dove è troppo.
Va costruita una vertenza generalizzata per contrastare la flessibilità e l’aumento delle disponibilità aziendali, il lavoro domenicale e festivo, i part time involontari e i turni spezzati. Bisogna regolare in modo chiaro, universale ed esigibile il diritto alla disconnessione nelle nuove forme di lavoro.

Va demistificata la narrazione secondo cui part time, flessibilità e smartworking servono alla conciliazione vita-lavoro, in particolare delle donne, perché, nella maggior parte dei casi, si tratta di decisioni unilaterali e comunque gestite dai datori di lavoro, che non corrispondono affatto a una liberazione, ma anzi a un maggior ricatto e di conseguenza a una maggiore disponibilità ad accettare le necessità dell’impresa, con effetti anche sulla carriera e, nel caso del part time imposto, sul salario e sulle future pensioni.

L’obiettivo della conciliazione vita-lavoro per tutte e tutti va ricercato, oltre che diffondendo una cultura di maggiore condivisione della cura tra uomini e donne, rivendicando servizi pubblici diffusi, gratuiti e di migliore qualità, in particolare per l’infanzia e la non autosufficienza, in modo da liberare chi lavora di una parte dei propri compiti di cura, senza che questo ricada su salari e condizioni di lavoro.

4.3 Difendiamo la sicurezza. Mai più morti sul lavoro!

Un deciso cambio di passo è ancora più urgente sulla sicurezza. Lo impone la vergognosa media di tre morti al giorno sul lavoro, in aumento, come il numero di infortuni e malattie professionali. Ancora più inaccettabili sono i casi avvenuti nei mesi scorsi di ragazzi giovanissimi morti in alternanza scuola-lavoro o tirocinio.

Tutto ciò è la misura dell’assoluto disinteresse, in nome del profitto, verso salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, un dato emerso in modo feroce nella gestione della crisi sanitaria. Prima che si arrivasse a imporre le norme contro il contagio, nei posti di lavoro è accaduto di tutto: persino supermercati e RSA che vietavano l’uso delle mascherine per non spaventare clienti e utenti, fino alle pressioni esercitate da decine di migliaia di imprese non essenziali per ottenere le deroghe dalle prefetture e aggirare il lockdown dopo il 22 marzo 2020. Nemmeno il sacrificio di centinaia di operatori e operatrici sanitarie che hanno perso la vita nel 2020 è servito a imporre una nuova cultura della sicurezza. Dopo la crisi sanitaria, si è tornati alla «normalità», con un nuovo arretramento, dovuto alle maggiori condizioni di precarietà, alla strutturale mancanza di risorse e al mancato investimento sugli enti di sorveglianza, sovraccaricati per due anni anche dai compiti di controllo delle norme Covid.

Sui temi legati alla sicurezza è necessario promuovere con radicalità una mobilitazione permanente, fino allo sciopero generale, rifiutando ogni compromesso e ogni monetizzazione di salute e sicurezza. La Cgil deve mobilitarsi, scioperare e costituirsi parte civile per ogni morte sul lavoro, pretendere pene certe e più severe, garantire che ogni lavoratore e lavoratrice, delegato/a, RLS possa denunciare condizioni di rischio senza ritorsioni. Vanno maggiormente istituzionalizzati e coperti da ulteriori titolarità e autonomia gli RLS, anche attraverso l’aumento del monte ore previsto dalle norme vigenti. Ovunque va pretesa, come previsto dalla legge, la consegna del DVR (documento di valutazione dei rischi). Soprattutto si devono pretendere investimenti sui controlli ispettivi, più risorse e più personale per verificare le condizioni di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza. Sugli appalti, oltre a contrastare la precarietà e le disarticolazioni contrattuali, va difesa e implementata la clausola sociale.

Va rilanciata una grande campagna per introdurre il reato di omicidio sul lavoro e definita l’istituzione di una Procura nazionale per la sicurezza. Bisogna diffondere la consapevolezza che queste morti non sono incidenti dovuti al caso o alla distrazione. Sono eventi determinati solo in parte da poca formazione, ma soprattutto dal mancato rispetto delle norme, dall’aumento degli orari e dei ritmi, dell’età media di permanenza al lavoro, oltre che dalle condizioni di ricatto, dalla precarietà, dagli appalti e dalla manomissione degli impianti.

È necessario su questo recuperare anche un punto di vista di genere, che ponga in modo specifico il tema della salute e della sicurezza delle donne, comprese le molestie sui posti di lavoro (che vanno introdotte come rischio nei DVR), la diversa esposizione e protezione dai rischi, il rapporto tra salute riproduttiva e

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organizzazione del lavoro (in particolare lavoro notturno, turni di sabato e domenica, movimenti ripetitivi e catena di montaggio).

5. Il sistema pensionistico peggiore d’Europa

Il sistema pensionistico universale fu conquistato tra il ‘67 e il ‘69 in un contesto di grandi lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Negli ultimi 30 anni, ogni governo ha attaccato quelle conquiste, secondo una strategia internazionale che ridotto il cosiddetto primo pilastro (la pensione pubblica), sviluppando quello privato, in mano al mercato e alla finanza (i fondi di categoria e la previdenza integrativa). Il processo è iniziato nel 1994, quando fu alzata l’età pensionabile, fu eliminato il riconoscimento del lavoro di cura per le donne, furono ridotti i rendimenti attraverso il sistema contributivo e favoriti i fondi privati. Le norme di salvaguardia per i lavoratori e le lavoratrici con almeno 18 anni di contributi sancirono la prima grande divisione tra generazioni. Il colpo di grazia lo ha dato la legge Fornero, che, con gli attuali 67 anni e l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, ha reso la previdenza italiana la peggiore in Europa. I costi di questa controriforma saranno sempre più evidenti nei prossimi anni, con pensioni che, oltre a essere già le più tassate in Europa, in prospettiva saranno sempre più povere a causa dei coefficienti di trasformazione bassi e dei pochi contributi versati, a causa di un mercato del lavoro in cui i giovani e i precari faticano a entrare.

Durante il primo governo Conte, il meccanismo di quota 100 è stato un intervento parziale, provvisorio e illusorio. Ha favorito l’uscita solo di alcuni settori (62 anni di età e 38 di contributi) e congelato l’adeguamento alla speranza di vita per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 per le donne). Nel gennaio 2022, quota 100 è stata sostituita con quota 102 (64 anni e 38 di contributi) e molto probabilmente con quota 104 nel 2023. Così, il problema dell’età pensionabile e delle basse pensioni rimane senza alcuna soluzione. La Cgil ha perso l’ennesima occasione per proporre una riforma generale delle pensioni, capace di tutelare in particolare il lavoro povero e discontinuo. Lo sciopero del 16 dicembre è stato tardivo: quota 102 era già stata decisa, senza opposizione sindacale, con la promessa di un tavolo per il 2023. Un tavolo che è e rimarrà una illusione. Si arriverà alla prossima scadenza senza nessuna risposta.

La verità è che sulle pensioni i governi hanno sempre fatto cassa, mettendo strumentalmente i giovani contro gli anziani, mentre in realtà hanno privato le generazioni dopo il 1995 di una prospettiva previdenziale dignitosa. Nemmeno sui lavori usuranti e gravosi si è mai trovata una soluzione.
Non c’è nessuno che non sia consapevole di questo. Ma in questi decenni Cgil Cisl e Uil non si sono opposte davvero, basti pensare alle sole 3 ore di sciopero nel 2012 contro l’approvazione della Fornero. Non abbiamo neppure ricercato una soluzione di compromesso nell’ambito del sistema contributivo, ad esempio l’innalzamento dei coefficienti di trasformazione per i salari più bassi, per evitare l’esito di tassi di sostituzione che impoveriscano drasticamente i nuovi pensionati. Chi guadagna 1000 euro non può avere un tasso di sostituzione del 60%, ma deve ritrovare una pensione in linea con gli ultimi stipendi. Si è smesso di pretendere i 60 anni di vecchiaia o i 40 di anzianità, di rivendicare il sistema retributivo, assumendo noi stessi il punto di vista del padrone, cioè che non è possibile. Non è vero. Quello che non è possibile e non è giusto è continuare a lavorare fino a 67 anni e oltre. Quello che non è possibile è ritrovarsi in pensione con poco più di metà del proprio stipendio. Le risorse per banche, imprese, mercati finanziari e spese militari si trovano sempre. Non si trovano mai per le pensioni perché non lo pretendiamo più.

La Cgil deve rompere la logica delle compatibilità. Bisogna abrogare la legge Fornero e ogni meccanismo automatico di allungamento dell’età lavorativa. Bisogna ridurre l’età pensionabile, tornare al sistema retributivo, anticipare l’uscita di chi svolge lavori gravosi e usuranti, di chi ha cominciato molto presto a lavorare e di chi svolge anche il lavoro di cura. Bisogna difendere il sistema a ripartizione e separare la previdenza dall’assistenza, respingere ogni forma di decontribuzione. Bisogna rivendicare meccanismi automatici di indicizzazione, per mantenerne costante il potere d’acquisto. Occorre aumentare le pensioni minime con riferimento ai contributi versati e aumentare le pensioni di chi ha le retribuzioni più basse. In particolare, va difesa la condizione delle donne, sia delle attuali pensionate (generalmente più povere), sia di quelle future, senza meccanismi penalizzanti, come è stata Opzione donna. Bisogna rivendicare l’integrazione contributiva e retributiva dei periodi di maternità e i congedi parentali.

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È ora di costruire una grande mobilitazione su questo e pretendere con le lotte quello che ci hanno tolto in questi decenni senza un contrasto sindacale efficace.

6. Diritti e servizi sociali universali.

6.1 Riforma del fisco a partire dalla patrimoniale

Lo Stato Sociale, conquistato nel dopoguerra a partire dalle rivendicazioni e dalle lotte del lavoro, permette l’effettivo riconoscimento di diritti universali (salute, istruzione, mobilità, accesso a servizi di base, sostegno sociale). Di fatto, questi servizi rappresentano una componente del salario globale, che integra gli stipendi e deve esser a carico di chi possiede la ricchezza del paese. Così, oggi, non è. Il sistema fiscale è storicamente iniquo e incrementa le disuguaglianze, drenando le risorse dal Lavoro al Capitale. Ad esempio, dal 2008 ad oggi le entrate dalla tassazione sulle persone sono aumentate (Irpef locale +40%, Imu-Tasi +91%), quelle sul Capitale sono diminuite (IRES -35%, IRAP -44%, rendite finanziarie -36%). I recenti interventi del governo Draghi hanno aumentato questa forbice.

Da tempo, la Cgil afferma che questo è uno dei principali problemi del paese. Queste parole non si sono però tradotte in pratica vertenziale, a volte perseguendo soluzioni persino sbagliate, come per la defiscalizzazione di straordinari, welfare aziendale e salario accessorio.
La Cgil deve organizzare una mobilitazione contro il fiscal compact (il patto di bilancio europeo che costringe i Governi europei a ridurre la spesa sociale) e i Trattati che impongono austerità, per abrogare l’obbligo di pareggio di bilancio dalle Costituzioni, per l’annullamento del debito, per costruire vertenze e coordinamenti europei. In questo quadro, è importante rivendicare una tassazione fortemente progressiva, con una drastica riduzione delle aliquote su dipendenti e pensionati/e, contro ogni proposta di flax tax (cioè un’unica bassa aliquota sul reddito delle persone fisiche invece delle attuali quattro, a seconda del livello di reddito). Al tempo stesso, va rivendicata la riduzione delle imposte indirette (cioè quelle legate alla spesa, che quindi pagano tutti, come l’IVA), l’introduzione di forti tassazioni sulle rendite e i movimenti di capitali, una patrimoniale sui grandi patrimoni, un serio contrasto all’evasione e elusione fiscale

6.2 La sanità deve essere pubblica, gratuita e di qualità

L’emergenza sanitaria ha avuto un impatto drammatico sui servizi pubblici, a partire dalla sanità, già sotto organico e massacrata da decenni di tagli, privatizzazioni e regionalizzazioni. La retorica degli “angeli della corsia” ha nascosto una scomoda verità: gli “eroi” hanno stipendi molto al di sotto della media europea, turni oltre il limite della sopportazione psicofisica e sono stati mandati in trincea nel più completo caos gestionale e senza tutele per la salute. Decenni di tagli (37 mld tra 2010 e 2020) hanno ridotto la sanità pubblica a un colabrodo. La tragedia del 2020 non è stata una fatalità, ma la conseguenza dell’aver smantellato la sanità pubblica e favorito quella privata. La lotta al Covid ha gravato sulle spalle del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), mentre i privati hanno continuato a fare profitti con le prestazioni non urgenti. Dalla pandemia, governo e istituzioni non hanno imparato nulla e continuano a perseguire le stesse politiche: appena l’emergenza sanitaria si è affievolita, sono tornati all’attacco e, mentre, da un lato, hanno trovato senza difficoltà altri 13 miliardi per le spese militari, dall’altro, hanno ridotto ulteriormente la spesa sanitaria. Lavoratori e lavoratrici della sanità assunti con contratti precari per far fronte all’emergenza sono stati mandati a casa. I pronto-soccorso, una volta tornati alla fase pre-pandemica, sono rientrati nel caos per la carenza di personale medico e infermieristico. Il governo Draghi ha stabilito un taglio della spesa sanitaria nel triennio 2023-25 di tasso medio annuo dello 0,6%. Il rapporto tra spesa sanitaria e Pil passerà al 6,2% nel 2025, uno tra i più bassi dei paesi Ocse. Un business per gruppi privati dal momento che il SSN non sarà in grado di garantire la prevenzione, la cura, il diritto alla salute di tutti/e. Già ora, milioni di persone rinunciano alle cure, a visite specialistiche e di prevenzione a causa delle lunghe liste di attesa o per ragioni di carattere economico.

È necessario un significativo aumento dei fondi destinati al SSN a partire dalla restituzione immediata delle decine di miliardi tagliati; la percentuale del Pil destinata alla sanità deve essere raddoppiata. Le strutture sanitarie private convenzionate, tipiche del modello Lombardia, sottraggono fondi al pubblico; i servizi resi da quelle strutture devono essere ripubblicizzati e chi ci lavora deve essere riassorbito dal SSN.

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È necessario un piano straordinario di assunzioni in sanità, a partire dal reclutamento immediato di almeno 100mila professionisti sanitari e medici e la stabilizzazione di tutti i precari/e. I loro salari, tra i più bassi in Europa, devono aumentare. Va contrastata la precarietà di migliaia di operatori e operatrici del settore, che, a causa dei processi di aziendalizzazione e privatizzazione, hanno condizioni di maggiore sfruttamento: a parità di lavoro devono corrispondere le stesse condizioni normative e lo stesso salario.

Per rilanciare la prevenzione bisogna sviluppare la rete sanitaria territoriale, compresa quella non ospedaliera, investendo sull’assistenza domiciliare, i medici di base, la riabilitazione e tutti i servizi specialistici, la gestione delle patologie croniche e delle dipendenze, le case della salute.
La pandemia ha ulteriormente dimostrato che è fondamentale investire sulla ricerca sanitaria pubblica, che non può essere precaria. La ricerca sanitaria italiana si regge, invece, sul lavoro precario di lunghissima durata. I ricercatori e le ricercatrici devono essere stabilizzati. La Cgil deve schierarsi per la sospensione dei brevetti nella ricerca scientifica e sanitaria, come strumento non soltanto di equità ma di salute pubblica globale. La tutela della salute non può essere subordinata alla protezione della proprietà intellettuale, tanto più quando i brevetti sono frutto di una ricerca sovvenzionata dai sistemi pubblici. La salute non può avere confini, tanto meno può diventare motivo di business per le grandi multinazionali farmaceutiche.

6.3 No alla sanità integrativa

La difficoltà della sanità pubblica di rispondere ai bisogni delle persone ha spalancato la strada alle privatizzazioni e alla sanità integrativa. Non è la mancanza di risorse economiche a determinare questo processo, ma una strategia per consentire a grandi gruppi economici di lucrare sulla pelle delle persone. La sanità integrativa regge solo se a usufruirne sono in pochi. Ha come primo obiettivo il profitto e non la salute delle persone. Non integra la sanità pubblica ma al contrario la sostituisce e indebolisce.

Tra l’altro, la crescita delle prestazioni manda in crisi i fondi stessi come nel caso di Metasalute (il fondo contrattuale dei metalmeccanici), che, dopo anni di respingimenti pretestuosi e disservizi, ha quasi rischiato il default, scaricandone poi i costi sugli aderenti, attraverso l’introduzione di ticket. La Cgil deve disdettare la sanità integrativa nei contratti nazionali.

6.4 No a ogni autonomia differenziata

La pandemia ha messo ulteriormente in luce gli effetti nefasti della regionalizzazione, della differenziazione dei servizi sanitari e della loro qualità su base territoriale. La regionalizzazione è stata una delle ragioni dell’inefficienza della campagna vaccinale. Ciononostante, molte Regioni, in testa Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, hanno continuato a chiedere l’applicazione dell’autonomia differenziata.

L’autonomia differenziata sarà un disastro, aumenterà i danni della regionalizzazione già determinati dalla modifica del Titolo V della Costituzione e il già enorme divario tra Nord e Sud del paese. Ciascuna Regione gestirà in proprio parte delle risorse in competizione con le altre, le persone avranno diritti e servizi diversi a seconda del territorio in cui risiedono. La sanità verrà ulteriormente indebolita, la scuola perderà la propria unicità e unitarietà, lo stesso contratto nazionale

Cgil deve mettere in atto una decisa opposizione all’autonomia differenziata, in ogni sua forma.

6.4 Per un’assistenza pubblica e universale

Da anni si assiste all’aumento progressivo di persone anziane non autosufficienti e/o disabili, a cui non corrisponde un adeguato incremento dei finanziamenti necessari all’assistenza sanitaria. Durante la pandemia, tanti decessi tra anziani/e e personale di Rsa, Case di Riposo, Aziende di Servizi alla Persona (Asp) e cooperative sociali si sarebbero evitati se diverse Regioni non avessero preso la decisione scellerata di trasferire i malati di Covid non più ospedalizzati nelle Rsa e se, in generale, ci fosse stato un vero piano di emergenza e degli investimenti pubblici sui servizi.

La rete di assistenza domiciliare alla persona deve garantire, se richiesta, la permanenza della persona non autosufficiente all’interno del proprio domicilio. L’accesso ai servizi, la presa in cura del soggetto, la definizione di percorsi personalizzati devono mantenersi rigorosamente di competenza del servizio

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sarà rimesso in causa, mentre si svilupperanno nuove

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privatizzazioni e un ulteriore aumento delle diseguaglianze. Questo iniquo progetto di divisione del paese va

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fermato e la

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pubblico, non derogati alle cooperative sociali. Devono essere affidati a personale pubblico, con un servizio di qualità e soprattutto accessibili a tutti/e, in particolare alle fasce più deboli, reinternalizzando i servizi precedentemente affidati ad azienda private. La Cgil deve rivendicare una legge di sistema che preveda un finanziamento strutturale e stabile e lanciare una grande campagna contro il lavoro precario nel settore.

Più in generale, in un sistema produttivo votato allo sfruttamento senza limiti della forza lavoro, la Cgil deve rivendicare la tutela delle fasce più deboli del mondo del lavoro, delle persone con disabilità e dei lavoratori e lavoratrici usurati da cicli di attività estenuanti e ritmi elevati. Occorrono politiche e finanziamenti stabili per il loro sostegno e inserimento al lavoro. Bisogna rilanciare una forte iniziativa per sconfiggere la diffusa non applicazione nella legge 68/1999 sull’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e in generale la ritrosia dell’imprenditoria italiana e di alcune amministrazioni pubbliche che si richiamano esclusivamente alle logiche della produttività senza misura e senza alcun riferimento agli scopi sociali e etici che sono tenuti ad avere.

6.5 L’istruzione e la ricerca devono essere pubbliche e indipendenti dagli interessi delle imprese

Una lunga stagione di controriforme ha indebolito la scuola e l’università, smontando le conquiste ottenute con le lotte degli anni 70. È stato imposto un modello di mercato basato su autonomia degli Istituti, sistemi centralizzati di valutazione (premi sulle performances), flessibilizzazione dei titoli e dei programmi di studio, che aumenta le disuguaglianze e burocratizza la professione insegnante. Le riforme Gelmini e i tagli hanno aumentato a dismisura il precariato, privato l’università del 20% di risorse, personale e offerta formativa e mutilato la scuola con il sovraffollamento, l’insegnante unico, la riduzione del tempo pieno. La “Buonascuola” ha innescato un grande movimento di lotta, che ha ottenuto di smontare i bonus e la chiamata diretta, senza purtroppo riuscire a incidere su altri elementi (alternanza scuola lavoro, zero-sei, logica delle competenze, INVALSI, penetrazione dei privati, ecc). Gli asili nido coprono oggi solo un quarto dei posti necessari, soprattutto al Nord e nelle città, la metà in strutture private e tutti con rette significative. La BuonaScuola e il Dlgs 65/2017 hanno costruito un sistema zero-sei in cui strutture e personale non sono pubblico e non sono scuola: al contrario si è permesso di fare scuola al di fuori del suo perimetro. Il diritto di bambini e bambine al gioco, alla socialità, all’accompagnamento deve essere invece universale ed esigibile, in strutture pubbliche e gratuite su tutto il territorio, con un piano straordinario di assunzioni e un adeguato riconoscimento contrattuale.

La gestione Conte e Draghi della pandemia è stata un disastro. La scuola non è stata messa in sicurezza (personale, spazi, areazione, ffp2, trasporti), alimentando confusione, chiusure e la DAD (didattica a distanza). Sono cresciute diseguaglianze, interruzioni formative, un diffuso disagio psicologico e sociale. È aumentato il carico di lavoro di tutto il personale. Nell’università questa gestione della pandemia ha approfondito l’autonomia (anche rivedendo la legge 240/2010), diversificato modalità didattiche, delineato un modello segmentato non solo tra Atenei, ma, al loro interno, tra collegi d’eccellenza, frequenza in presenza e online.

Il PNRR e la legge di bilancio 2022 hanno introdotto risorse (significative per università e ricerca), ma queste sono usate per dividere con rinnovi contrattuali diversi tra loro, aprire spazi ai privati, aumentare il precariato e soprattutto radicalizzare le politiche competitive di sistema. Nella scuola di infanzia, proseguendo le ambiguità del ciclo zero-sei, si rischia di privilegiare le strutture paritarie e private, che oggi coprono un terzo degli iscritti, anche per le disposizioni del DPR/89/2000. Nella scuola, si centralizza la formazione e si impone un salario premiale basato sulle performances attaccando la libertà di insegnamento. Nell’università, si privilegiano le fondazioni e si rilancia la flessibilità formativa (revisione del decreto 270/04).

La ricerca in questi anni è stata destrutturata in diversi Enti e realtà, favorendo lo sviluppo di fondazioni, che squalificano il lavoro e stravolgono il perimetro del sistema pubblico. Si è così piegata la ricerca alle esigenze delle imprese, concentrando le risorse sul trasferimento tecnologico. Deve essere invece ridata centralità al pubblico alla libera ricerca di base, evitando la subordinazione di questo settore a multinazionali e logiche di profitto.

La Cgil, in rapporto con il movimento studentesco e Fridays For Future (FFF), deve opporsi a queste politiche 12

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liberiste e antisindacali, sviluppando con determinazione, continuità e perseveranza, un movimento per l’unità di scuola e università, contro ogni autonomia differenziata, per un loro profilo pubblico, democratico e di massa, contro ogni logica di impresa e per rilanciare stabilità, salari e diritti di tutto il personale. Bisogna sviluppare in tutti i territori la scuola d’infanzia pubblica e obbligatoria, il vero tempo pieno e quello prolungato. Si deve portare l’obbligo a 18 anni, in un ciclo superiore quinquennale unitario (con diversi indirizzi) e eliminare il sovraffollamento delle classi (20 alunni massimo). Si devono coprire tutti i posti con insegnanti di ruolo; si deve difendere la libertà di insegnamento, abrogare la parte scuola del DL 36 e la riforma Renzi, battersi contro qualunque differenziazione salariale sul “merito” e contro l’ingresso del privato anche con i “patti territoriali. Si deve rendere accessibile l’università, eliminando le tasse di iscrizione e i numeri chiusi, rilanciare un sistema nazionale abrogando la legge Gelmini, introducendo il ruolo unico della docenza e cancellando le politiche competitive dell’autonomia.

La Cgil deve mobilitarsi per l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro. Non è accettabile che studenti e studentesse siano utilizzati come manodopera per le aziende private, esposti al rischio della vita, come dimostra la recente cronaca. Non è accettabile che vengano negate ore di apprendimento, per formarli nelle aziende, fin da giovani, alla subordinazione al padrone. La scuola pubblica non deve insegnare un mestiere, ma formare cittadine e cittadini, capaci di pensare criticamente e di maturare la curiosità intellettuale, la creatività, l’accoglienza e la valorizzazione delle differenze.

6.6 Il diritto all’abitare

Di fronte alla crescente emergenza abitativa, bisogna difendere il diritto alla casa. Prezzi, affitti e mutui sono al di fuori della portata di tante famiglie, soprattutto di disoccupati, lavoratori e lavoratrici precarie, poveri. Il numero di case popolari è ridotto ai minimi termini e crescono ogni anno gli sfratti, i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari. Allo stesso tempo le città sono sempre più cementificate a causa della speculazione edilizia mentre in tutta Italia ci sono milioni di case sfitte, molte di queste di proprietà delle grandi immobiliari. Sono necessari provvedimenti per abbassare i prezzi, tanto più in un periodo di inflazione alle stelle. Il finanziamento pubblico dei bonus di ristrutturazione edilizia ha creato occupazione nel settore, ma ha favorito ricchi e grandi immobiliaristi. La Cgil, insieme ai movimenti sociali impegnati su questo fronte, deve rivendicare che le risorse pubbliche siano indirizzate al diritto alla casa, pretendendo la riqualificazione delle periferie e dei quartieri popolari e un piano nazionale di edilizia popolare, anche rivendicando la messa a disposizione dei patrimoni immobiliari inutilizzati.

7. Costruire la pace, difendere il pianeta, rivendicare un nuovo modello di sviluppo

7.1 Per la pace, l’ambiente, l’arte e la bellezza

Manca nelle forze politiche e sindacali un’adeguata comprensione della gravità della situazione che stiamo vivendo a livello generale e dell’impellente necessità di percorrere strade radicalmente diverse. “Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha creato, occorre cambiare mentalità” (Albert Einstein). Occorre cioè un’azione incisiva e radicale, per conquistare un’egemonia capace di produrre una mobilitazione di massa per la salvaguardia del pianeta, contro la guerra e a difesa della pace, contro l’erosione dei salari e per le condizioni di vita dei ceti popolari, per costruire un movimento dell’insieme del lavoro in grado di porsi l’obiettivo di superare lo stato di cose esistenti. La pace, la qualità della vita e dell’aria che respiriamo, la salute, la sicurezza e la dignità di chi lavora e di chi abita un territorio, così come la bellezza e il patrimonio artistico del paese non si conciliano con profitto, privatizzazione, guerra e sfruttamento capitalista delle risorse del pianeta. È questo che va radicalmente messo in discussione.

La Cgil deve lottare per un modello di sviluppo pacifico e solidale, alternativo a un capitalismo bellicista e distruttivo della natura, della società e della democrazia, dove ciò che conta è solo il profitto delle imprese. Dobbiamo riaffermare e valorizzare la nostra tradizione internazionalista, con la quale da sempre abbiamo difeso il diritto all’autodeterminazione e alla libertà dal Kurdistan alla Palestina e contrastare ogni logica di guerra tra potenze. Serve mobilitarsi insieme al movimento pacifista internazionale e promuovere un movimento generale contro la guerra, sostenere la pace e l’accoglienza, impedire il riarmo e l’invio di armi, pretendere l’uscita dell’Italia dalla Nato e la progressiva chiusura delle basi nel paese, che sono spreco

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immane di risorse, oltre che fonte di pericolo, distruzione e morte. Su questo non bastano le parole: bisogna incoraggiare azioni dirette, come quella dei lavoratori portuali, che hanno scioperato e si sono rifiutati di far partire le armi dai porti.
Nella lotta per la salvaguardia del pianeta, bisogna valorizzare il rapporto e la convergenza con i movimenti, in particolare quello di Fridays For Future (FFF). La Cgil deve essere parte di questa radicalità, facendo della difesa degli interessi del lavoro occasione per un cambiamento complessivo della società, pretendendo politiche pubbliche basate su un nuovo modello di sviluppo. Bisogna ristrutturare le produzioni inquinanti, utilizzando tecnologie di ultima generazione, riconvertire gli impianti irrecuperabili, fonte di inquinamento e morte, nazionalizzandoli sotto il controllo di chi ci lavora e bonificando i siti e i territori. In particolare dobbiamo rivendicare il rilancio dell’ex Ilva, ripartendo dal suo risanamento tecnologico e ambientale, per farlo diventare un modello di transizione verso processi produttivi che abbattano l’inquinamento, per esempio con i forni elettrici, al tempo stesso salvaguardando i livelli occupazionali.

Dobbiamo opporci alle privatizzazioni e lottare per la difesa e la ripubblicizzazione dei beni comuni, a partire da quelli essenziali come l’acqua. Dobbiamo contrastare il DDL Concorrenza, che apre una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi e tenta di azzerare l’esito del referendum del 2011, già ampiamente disatteso. Va sostenuta invece la legge nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico, avversata dai vari governi succedutisi dopo la vittoria referendaria. Va fermato il progetto delle grandi multi-utilities quotate in Borsa di espansione anche al Sud (in primo luogo IREN, A2A, HERA e ACEA), già principali gestori nel Centro-Nord. È fondamentale sostenere l’iniziativa nazionale e territoriale per arrivare alla gestione pubblica, tramite Enti di diritto pubblico, nel servizio idrico e non solo, dai rifiuti alla distribuzione del gas e dell’energia elettrica, attraverso strumenti come l’azienda Speciale che consente il mantenimento della contrattazione di Settore. Bisogna investire su energie rinnovabili e idrogeno verde, riduzione dell’inquinamento e del consumo di territorio, ciclo integrato, pubblico e ecocompatibile dei rifiuti in un’ottica di progressiva riduzione degli stessi a partire dai cicli produttivi e di imballaggio.

Bisogna difendere, tutelare e valorizzare la bellezza di questo paese, il suo immenso patrimonio paesaggistico, artistico, culturale e archeologico diffuso nel territorio e ricondurre alla gestione pubblica il mondo dell’arte, del restauro, della cultura e dello spettacolo, sempre più in mano a privati e cooperative, turismo di massa, sovraintendenze, fondazioni e lobby politiche, che ne deprimono la qualità e la fruizione, anche tagliando diritti e condannando chi lavora a precarietà, lavoro nero e gratuito, gavette infinite e la mancanza strutturale di ammortizzatori sociali, emersa in modo drammatico durante la crisi sanitaria. La Cgil promuova finalmente, insieme ai movimenti radicati in questo mondo, una mobilitazione generale sul settore, a partire dagli Stati Generali dell’arte, della cultura e dello spettacolo tante volte annunciati e mai realizzati, per dare a questo settore strategico del paese una prospettiva sia di valorizzazione e investimento pubblico che di tutela dei diritti di chi ci lavora.

7.2 Per un nuovo modello di circolazione e trasporto

Il paese ha un divario infrastrutturale che lo spacca in tre parti, il Nord, il Sud e la fascia tirrenica. Le inefficienze si scaricano principalmente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. I vari strumenti di pianificazione infrastrutturale degli ultimi anni hanno fallito, anche considerato l’alto tasso di infiltrazioni mafiose e corruzione. L’eccessiva burocrazia e il sistema degli appalti rendono farraginoso l’affidamento e l’esecuzione delle opere programmate. I tempi medi di realizzazione di un’opera da 100 milioni sono valutati in circa 15 anni, un ritardo che moltiplica il divario tra le diverse aree geografiche, compromettendo i processi di sviluppo.

Bisogna affrontare il tema del trasporto e delle reti infrastrutturali per rendere esigibile su tutto il territorio il diritto a circolare, sancito dall’art. 16 della Costituzione, affrontando i problemi strutturali da sempre esistenti e quelli derivanti dai profondi cambiamenti avvenuti in questi anni: gigantismo navale, alta velocità, e-commerce, digitalizzazione dei processi di tracciamento delle spedizioni, logistica, riders e tutto quel precariato ad altissimo sfruttamento.

Nel trasporto aereo le compagnie low cost hanno modificato radicalmente il modo di viaggiare, scaricando il prezzo sui lavoratori e sulle lavoratrici del settore. Nel trasporto pubblico locale si sono affermate logiche di

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mercato con la distinzione dei lotti deboli e la relativa contrazione dei servizi all’utenza. Il trasporto su gomma rappresenta ancora l’85% del transito delle merci. Nel settore ferroviario, i grandi investimenti hanno privilegiato il profitto, disinvestendo sul trasporto regionale e dei pendolari. Nemmeno le stragi, prima tra tutte quella di Viareggio, sono servite a imporre un modello diverso, che sottraesse finalmente questo settore alle logiche del profitto e del Capitale. In tutti questi settori, la sicurezza e la salute di chi lavora, di chi utilizza il servizio e dei territori attraversati devono essere la priorità.

Bisogna rivendicare la mobilità sostenibile, non soltanto con gli incentivi alle auto elettriche e investendo sulle infrastrutture necessarie, ma soprattutto valorizzando il trasporto pubblico locale e le reti dei pendolari e ripensando, a monte, i tempi e gli spazi delle città.
Le infrastrutture producono ricchezza ma sottraggono territorio alla collettività. La Cgil deve esercitare una pressione costante sulle scelte di progettazione e realizzazione delle opere infrastrutturali che sono necessarie, salvaguardando al tempo stesso il territorio. Deve schierarsi, insieme ai movimenti, contro le tante grandi opere inutili, come la TAV, che è il caso più emblematico di un’opera dannosa, imposta, che spreca risorse e diventa terreno fertile per malaffare e tangenti. Le nostre grandi opere devono essere la scuola e la sanità pubblica, lo sviluppo della rete ferroviaria periferica in particolare al Sud e la messa in sicurezza del territorio.

7.3 Per lo sviluppo e la crescita del Sud

In generale, va sostenuta una politica di investimento nel Sud, assente dall’agenda politica del paese oramai da decenni, per responsabilità di natura politica ma anche per la debolezza con cui il sindacato la ha sostenuta come una priorità del paese. Le regioni del Sud si sono desertificate e, a parte qualche eccezione, interi territori sono deindustrializzati, impoveriti, arretrati sotto vari profili. Persino la speranza di vita è inferiore e continua senza sosta la migrazione di giovani verso il Nord e all’estero. Sanità, scuola e università sono in una condizione di strutturale debolezza e il divario con il resto del paese e con l’Europa è enorme. La disoccupazione giovanile e femminile raggiunge livelli inaccettabili. La dignità di intere popolazioni è mortificata da un sistema economico che produce ricchezze che non vengono redistribuite. Nonostante un patrimonio culturale, archeologico, storico e paesaggistico immenso, il Sud soccombe sotto l’incapacità di una classe dirigente che non ha a cuore o non riesce a promuovere la sua valorizzazione.

La Cgil deve lanciare una campagna di mobilitazione per il riscatto etico, politico, sociale ed economico di milioni di persone. Occorrono infrastrutture, investimenti nei servizi, nuove politiche industriali, il recupero del dissesto idrogeologico, politiche del turismo ecocompatibili e di respiro internazionale.
Bisogna cambiare anche il modo di fare azione sociale e di rappresentanza perché proprio nel Mezzogiorno, senza un vero rilancio, le nostre sedi territoriali rischiano di restare dentro una crisi di carattere gestionale oramai cronica.

8. I diritti civili e sociali. Basta discriminazioni e odio.

La Cgil deve recuperare autorevolezza attraverso una maggiore conflittualità sociale, sul terreno essenziale dei diritti sociali e economici, a partire da salario, pensioni, orario di lavoro, Stato Sociale. Troppo spesso, in questi anni, questi bisogni sono stati strumentalizzati da altri come pretesto per alimentare odio sociale e divisioni: anziani contro giovani, italiani contro migranti, uomini contro donne, lavoratori stabili contro precari, pubblici contro privati, Nord contro Sud. Questa logica va spezzata e va messa in discussione la falsa contrapposizione tra diritti sociali e civili. Non soltanto perché questo fa parte della nostra identità, che rivendichiamo con fermezza, ma anche perché, se i diritti non sono di tutti/e, sono privilegi. Nessuno migliora le proprie condizioni a spese di altri, la debolezza di alcuni, alla fine, rende deboli tutti/e. Dobbiamo, quindi, rilanciare con convinzione una serie di campagne su solidarietà sociale, lotta al razzismo, al fascismo e alle discriminazioni di genere, affermando il nostro impegno sul terreno dei diritti civili, contro caporalato, malaffare, lavoro nero e mafie. Dobbiamo opporci con nuova energia a tutte le politiche securitarie di questi anni, portate avanti da ogni governo, indipendentemente dal colore politico.

8.1 Contro razzismo, fascismo e repressione

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Siamo contro tutte quelle politiche che alimentano l’odio, a partire dalla Bossi-Fini, che dopo 20 anni nessuno ha ancora messo in discussione, fino ai decreti sicurezza Maroni, Minniti e Salvini, anch’essi tuttora in vigore e improntati a un medesimo principio di proibizionismo, deterrenza e criminalizzazione. La Cgil deve tornare ad avere un ruolo propositivo e negoziale su questo e rivendicare un sistema inclusivo di accoglienza e integrazione e più in generale di governo del flusso migratorio.

I diritti dei migranti sono i nostri diritti. In alcuni settori, le loro condizioni di lavoro e di vita sono semplicemente inaccettabili, in particolare nell’agricoltura, nella logistica, soprattutto al Sud, ma sempre più spesso anche al Centro-Nord. È soprattutto qui che la Cgil deve praticare il “sindacato di strada”, diventando portatore di diritti, civiltà, legalità e dignità. Al tempo stesso, in ogni luogo di lavoro, va lanciata una campagna contro i pregiudizi e le discriminazioni, contro ogni forma di razzismo, contro il reato di clandestinità, per il diritto di voto per tutti/e, per regole trasparenti, tempi certi e più brevi per il diritto incondizionato di cittadinanza, per lo ius soli e il riconoscimento della cittadinanza ai minori che studiano in Italia.

La Cgil deve battersi per la garanzia del diritto di asilo e politiche di accoglienza per tutti/e i profughi/e e i rifugiati/e, rifiutando le strumentalizzazioni di chi accoglie alcuni, mentre dimentica gli altri. La guerra sta infatti contribuendo a manipolare e strumentalizzare il fenomeno migratorio. C’è una contraddizione fra la giustissima accoglienza delle donne e degli uomini che arrivano dall’Ucraina e i respingimenti di chi viene dal Mediterraneo o dalle rotte mediorientali, in particolare Siria e Afghanistan.

La Cgil deve valorizzare il ruolo dei migranti al suo interno, rimuovendo ogni ostacolo alla loro presenza nelle Rsu, nei direttivi, negli organismi e nelle segreterie a ogni livello.
Sul terreno della lotta al fascismo, la Cgil deve rispondere in primo luogo con la partecipazione e la mobilitazione, non soltanto difendendosi, come dopo la vergognosa aggressione alla nostra sede nazionale e alle tante nostre sedi territoriali, ma anche contrattaccando, pretendendo, insieme all’ANPI, la messa al bando delle organizzazioni neofasciste e contrastando sul piano della militanza sociale, politica e culturale di massa, chiunque cerchi di limitare l’agibilità politica e sindacale di lavoratori e lavoratrici.

8.2 Per la libertà, i diritti e l’autodeterminazione delle donne

A partire dal protagonismo e dall’autodeterminazione dei luoghi delle donne, la Cgil è impegnata contro patriarcato, femminicidi e violenza di genere, sessismo, familismo, omolesbobitransfobia e ogni discriminazione di genere sul lavoro (differenze salariali, precarietà, condizioni penalizzanti negli orari di lavoro, part time involontari, sicurezza ecc).

Siamo impegnate in prima linea contro la violenza maschile contro le donne, a partire dalla difesa e dalla valorizzazione dei centri antiviolenza laici e femministi. Lottiamo affinché venga riconosciuta in tutti i paesi del mondo la libertà di scelta delle donne e che l’aborto sia ovunque sicuro, libero e depenalizzato. In Italia, rivendichiamo la riqualificazione, il potenziamento il finanziamento dei consultori pubblici e la piena applicazione della legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, che deve essere garantita in modo generalizzato e senza rinunce, contro ogni obiezione di coscienza. Va garantita la gratuità delle RU486 e la sua distribuzione fuori dai contesti ospedalieri.

Rivendichiamo più tutele per tutte le lavoratrici madri, con la piena copertura anche delle precarie. Va cancellata la norma che “permette” di lavorare fino al nono mese, reintrodotte norme stringenti contro le dimissioni in bianco, riconosciuta l’integrazione contributiva e retributiva al 100% per le maternità a rischio, esteso il congedo obbligatorio per i padri, aumentata la copertura salariale del congedo parentale, introdotti percorsi di formazione professionale per chi rientra da periodi di astensione.

Ci mobilitiamo contro ogni strumentalizzazione del corpo delle donne in tutti i settori della vita sociale, contro ogni politica ispirata alle logiche familiste, bigotte e retrograde del Family Day. Lanciamo una campagna informativa contro la narrazione tossica e paternalistica che ci viene quotidianamente imposta da media e dai libri di testo scolastici, contro la cultura del possesso e per la difesa del principio del consenso, dove semplicemente NO è NO. Lanciamo una campagna contro le molestie sul lavoro, a partire dal loro riconoscimento come rischio da inserire nei DVR.

Dobbiamo fare formazione e informazione, anche al nostro interno, per valorizzare gli spazi, il ruolo e la

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presenza delle donne, ben oltre le quote, affrontando il tema di un linguaggio più inclusivo e del modo stesso di fare sindacato, vigilando sui meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti, sulle modalità e sugli orari del nostro lavoro e delle nostre riunioni.
La Cgil deve sostenere, nella reciproca autonomia, il movimento transfemminista internazionale di Nonunadimeno, condividendo finalmente lo sciopero generale dell’8 marzo come strumento di lotta. È importante riprendere, in rapporto con il movimento LGBTQ+, i temi che abbiamo sostenuto per il DDL Zan contro omolesbobitransfobia e abilismo e lanciare nei posti di lavoro una campagna di sensibilizzazione e informazione ma anche di riconoscimento dei diritti sul lavoro delle persone transgender (per esempio, misure di tutela e sostegno per la ricerca e l’accesso al lavoro, il riconoscimento della carriera alias, misure specifiche per la salute e la sicurezza di chi intraprende percorsi teraupeutici o operatori di affermazione di identità di genere, pause o permessi specifici per le terapie, attenzione ai carichi di lavoro nelle fasi post operatorie, bagni genderless ecc).

9. Per una Cgil autonoma e di “strada”, che metta al centro i delegati e le delegate

Le forme della rappresentanza sociale e politica vivono ovunque una profonda crisi, alimentata anche dagli effetti della pandemia. Spinte alla disintermediazione e derive individualiste mettono il sindacato di fronte a scelte non più rinviabili. La recente Assemblea di Organizzazione della Cgil a febbraio, in assenza di scelte politiche alternative a quelle del passato, ha riproposto le solite liturgie e non ha determinato alcun vero cambio di passo.

Il numero di iscritti/e continua a diminuire. In realtà, ci sarebbe una forte domanda di rappresentanza, sia nei settori tradizionali che in quelli più innovativi, ma non viene intercettata e quasi mai stabilmente organizzata. Il sindacato ha mostrato una profonda insufficienza nella sua azione, a volte assente, a volte inefficace, quasi mai all’altezza della drammaticità della situazione in cui versano il lavoro, i salari, la società e il pianeta stesso a causa della crisi climatica.

Occorre prendere atto di questa debolezza, contrastare la sostanziale incapacità della politica di dare risposte ai bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici e stimolare una nuova risposta sindacale progettuale, forte e coraggiosa. Per tornare a incidere bisogna cambiare linea, avere il coraggio di tornare a essere un sindacato conflittuale, rivendicativo e di classe, rompere con il senso di impotenza e sconfitta che spesso ci portiamo dietro, non avere timore di opporci a governi e imprese, soprattutto non avere paura di pronunciare la parola sciopero. Il conflitto non è una colpa, ma uno strumento democratico di rivendicazione dei diritti del mondo del lavoro e, dove è agito, produce giustizia sociale, democrazia, benessere e anche sviluppo.

La Cgil deve riscoprire le sue radici antagoniste, rafforzare e riunificare le tante vertenze diffuse e spesso isolate che ci sono, valorizzare l’unità dal basso delle lotte, anche sostenendo forme di auto-organizzazione e coordinamento intersindacale sui temi generali e nelle singole vertenze.
L’unità sindacale va ricercata nei luoghi di lavoro, quella dei vertici confederali, in questi anni, è stata spesso un freno alle lotte e ci ha allontanato dai movimenti. È sbagliato proporre il “sindacato unico”. Le differenze con Cisl e Uil esistono ancora e dobbiamo rivendicarle, sia per i valori che ci ispirano, sia per le pratiche sindacali e contrattuali. Non siamo il sindacato che supinamente sostiene imprese e governi, non siamo per la partecipazione nei consigli di amministrazione delle imprese. Siamo il sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici, non solo degli iscritti. Siamo il sindacato che si oppone alle politiche antipopolari e si mobilita insieme ai movimenti sociali per la pace, per l’ambiente, per i diritti sociali e civili. La Cgil deve aumentare i luoghi e gli spazi di discussione democratica, promuovere la partecipazione non rituale ma reale alla formazione delle decisioni: questo vuol dire e fare in modo che le nostre scelte non siano calate dall’alto ma siano discusse e poi votate dai lavoratori e dalle lavoratrici. Dobbiamo tornare a dare forza e centralità ai luoghi di lavoro, aumentare la democrazia e fare votare le RSU in ogni posto di lavoro.

Serve un cambio di rotta che coinvolga anche il modello organizzativo. La Cgil deve essere un sindacato dell’insieme del Lavoro, che tutela i suoi interessi generali e promuove la sua autonomia dalle imprese, dalle istituzioni e dal quadro politico. Quando l’abbiamo dimenticato, come quando abbiamo accettato la fine della scala mobile e la concertazione, quando non ci siamo opposti alla legge Fornero e alla manomissione

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dell’articolo 18, siamo stati incapaci di svolgere il nostro ruolo: difendere le lavoratrici e i lavoratori.
Una dinamica incentivata dall’attuale modello sindacale burocratico e verticistico, sempre più incentrato su servizi e Enti Bilaterali, segreterie e centri regolatori, insieme alla lunga stagione concertativa, l’accettazione dei vincoli alla contrattazione nel quadro delle compatibilità di impresa, il ripiegamento della conflittualità hanno determinato una abitudine al conformismo e alla passività, anche al nostro interno, in gran parte degli apparati. In questa logica, delegati/e e RLS che dissentono dalla maggioranza o che si oppongono con più determinazione alle imprese, invece che essere valorizzati e difesi, finiscono per essere abbandonati, isolati o addirittura repressi. Serve una nuova politica di formazione e coinvolgimento dei/delle militanti sindacali, a ogni livello, che valorizzi il rinnovamento generazionale ma anche la radicalità, l’autonomia, la partecipazione alle lotte.
La Cgil deve allora rifondarsi, a partire dai comitati degli iscritti/e e dai delegati/e. La contrattazione, di primo e secondo livello deve sempre avere al centro gli interessi del Lavoro contrapposti a quelli del Capitale. Le rappresentanze devono essere elette in ogni posto di lavoro e va rivisto radicalmente il Testo Unico del 10 gennaio in direzione di una reale democrazia di lavoratori e lavoratrici. Delegati e delegate devono essere in primo luogo i loro rappresentanti e l’organizzazione non deve imporre loro scelte o accordi che non condividono. Bisogna valorizzare la loro autonomia, rinnovando quel rapporto dialettico che ha caratterizzato i periodi migliori del nostro sindacato. Per questo è importante riprendere e estendere le esperienze di partecipazione, come i delegati/e di raccordo del Collettivo di fabbrica GKN.
In questo quadro, dobbiamo recuperare un rapporto vivo e dialettico con chi rappresentiamo, anche nei settori e nelle realtà più difficili da organizzare, dove il territorio più che il posto di lavoro diventano il luogo della ricomposizione e dell’organizzazione sindacale, anche indirizzando risorse al livello organizzativo territoriale. La Cgil deve essere davvero un sindacato di strada, meno burocratico, meno legato a istituzioni e potere politico, in grado invece di coinvolgere e organizzare lavoratori e alle lavoratrici, chi cerca o non trova lavoro, chi è già in pensione.

Eliana Como

tessera n. 4697165 presso Fiom Roma est, Cdlt Roma est, lavora in Fiom nazionale Direttivo nazionale Cgil – Comitato centrale Fiom – Direttivo Fiom Bergamo

Adriano Sgrò

tessera n. 1641652 presso FP Milano, delega, lavora al Comune di Milano
Direttivo nazionale Cgil – Direttivo Camera del lavoro di Milano – Direttivo FP nazionale, regionale Lombardia e territoriale di Milano – Assemblea generale Cgil Lombardia.

Mario Iavazzi

tessera n. 2124367 presso FP Bologna, delega, lavora in FP Bologna
Direttivo nazionale Cgil – Direttivo regionale Cgil Emilia Romagna e Cgil Bologna – Direttivo FP nazionale e territoriale di Bologna

Gloria Baldoni

tessera n. 3040474 presso SLC Ancona, delega, lavorava in Poste Italiane, da poco in pensione
Direttivo nazionale Cgil – Direttivo SLC nazionale e territoriale di Ancona – Assemblea Generale Cgil Marche e Ancona

Aurora Bulla

tessera n. 1213871 presso SPI Brescia, delega, in pensione
Direttivo nazionale Cgil – Direttivo Filctem di Brescia – Assemblea generale nazionale Filctem – Direttivo Cgil di Brescia – Assemblea generale Cgil Lombardia

Luca Scacchi

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tessere n. 0008172 presso FLC Valle d’Aosta, delega, lavora in Università della Valle d’Aosta
Direttivo nazionale Cgil nazionale – Direttivo regionale Valle d’Aosta – Direttivo FLC nazionale e Valle d’Aosta.